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Le associazioni antiracket in Campania

1. brevi cenni – la nascita delle associazioni antiracket in campania

– le associazioni a napoli –

<< i risultati nella lotta alla camorra non si possono giudicare nei tempi brevi, serve impostare una strategia di lungo periodo. bisogna aver chiaro che strumento decisivo e insostituibile sono le coscienze individuali. l’esperienza antiracket è emblematica: il racket può essere sconfitto se la vittima, assumendosi una personale responsabilità, denuncia e collabora con le istituzioni; qualunque legge senza questo atto di coraggio servirebbe a poco. che serve, allora? guardarsi negli occhi per costruire relazioni di fiducia. a questo percorso non ci sono alternative>>

la decisione di denunciare passa pertanto tassativamente attraverso la possibilità per la vittima di racket o di usura di trovare nelle associazioni antiracket interlocutori capaci di ascoltare ed agire in maniera credibile e competente al contempo in grado di fungere da raccordo tra l’operatore economico ed il mondo istituzionale, autorità giudiziaria procedente e uffici territoriali del governo interessati a qualsiasi titolo della vicenda estorsiva o usuraia.
In tal senso si capisce come di fondamentale rilevanza per l’imprenditore o il commerciante che si appresta a denunciare, sia la vicinanza di persone che già abbiano percorso il suo stesso cammino.
la costituzione della prima associazione antiracket in sicilia agli inizi degli anni novanta ha dato l’esempio affinché anche a napoli, consenziente una amministrazione comunale sensibile a tali problematiche, si sia operato, a far data dal 2001 a che liberi imprenditori ed operatori commerciali trovassero il giusto stimolo a denunciare il racket delle estorsioni.
Sulla scorta di questi semplici principi napoli e la campania, sono oggi diventate simboli della lotta alla criminalità organizzata nella forma più odiosa e temuta del racket delle estorsioni. attraverso questa particolare ed odiosissima forma di violenza personale, il sodale mafioso si radica sul territorio assorbendone la linfa economica vitale. ciò crea immense sacche di povertà in cui, come in circuito vizioso, la criminalità organizzata stessa attinge al contempo manodopera da utilizzare per potenziare la propria organizzazione.
Non ci sono altre strade, l’unica via possibile è quella della denuncia, unica via percorribile è quella di creare, con ogni mezzo necessario, il terreno più favorevole a far si che l’imprenditore non sia più solo e trovi così il coraggio di opporsi al giogo del crimine organizzato.
Ad oggi napoli e la sua provincia hanno assistito al proliferare di ben otto associazioni antiracket costituite da operatori economici che hanno così deciso di dire basta al giogo della camorra. sono così nate grazie all’impegno di giovani volontari ed al lavoro incessante compiuto dai dirigenti di S.O.S. Impresa – Confesercenti e della Rete per la Legalità oramai assurte a simbolo dell’antiracket sul territorio di concerto con l’intero mondo dell’associazionismo antiracket.
Dalla nascita della prima associazione a pianura, molte sono ad oggi le associazioni fiorite sul territorio partenopeo, costituite da imprenditori, ma anche da professionisti che hanno deciso di porre le loro competenze al servizio della legalità e del sostegno alle vittime della criminalità organizzata: Rete legale Etica ne è un esempio.

Rete per la Legalità Campania e Nazionale, opera al fine di contribuire al proliferare di nuove associazioni di quartiere cui fornire il know how e l’esperienza maturata al fine di ottimizzare le energie disponibili

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Associazioni antiracket e sub-culture criminogene

Attività delle Associazioni antiracket e contrasto ad una sub-cultura criminonega – rapporti con l’associazione di tipo mafioso

Art. 416 bis c.p.: “…l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per se o per altri … se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo (in una determinata area territoriale) sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto dei delitti … nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono, o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto,il profitto o che ne costituiscono l’impiego …”

L’imprenditore commerciale rappresenta spesso l’occhio sulla strada, in considerazione dello stretto contatto con la gente e con i luoghi in cui esercita la propria attività, a prescindere dalla tipologia. Pagare il pizzo, non denunciare gli estorsori, da così potere alla mafia, la legittima pagando una tassa, in una porzione di territorio dove lo stato sembra più debole. Ma lo Stato può poco senza la collaborazione di chi su quel territorio vive e lavora.
Il controllo acquisito sul territorio ad opera del Clan crea così le condizioni a che l’organizzazione criminale incontrastata viva ed operi nello stesso. Il sodale mafioso più o meno articolato tine le fila dei traffici illeciti ( ad esempio le sostanze stupefacenti) e solo nelle fasi patologiche della propria esistenza addiviene a scontri armati con clan rivali nella propria area di operatività. Tutto è finalizzato ad accumulare immense quantità di capitali, spesso in contanti, con cui contestualmente agire sul territorio di riferimento e fuori viziandone irrimediabilmente il circuito economico sano.
La Mafia è un cancro, e la prima cellula cancerogena si forma proprio attraverso la tacita acquiescenza dell’operatore economico che, forse sotto minaccia altre volte perché protetto accetta di pagare, in tal modo riconoscendo e legittimando il potere del clan sul territorio di riferimento.
L’incessante attività di intelligence e di contrasto armato all’operatività dei Clan non può prescindere da una contestuale e capillare attività di prevenzione attraverso una attenta formazione culturale della coscienza civile. La Mafia è un fenomeno prima di tutto culturale, senza colori politici, che vive di tutto ciò che può creare accumulo di capitali leciti o illeciti. La forza del singolo imprenditore deve pertanto essere ricompresa sotto l’unico vessillo dei movimenti antiracket ed il consumatore indirizzato attraverso un Consumo Critico del proprio denaro. L’imprenditore, non più solo forte dell’appoggio della società civile e dello Stato è così in condizione di affrontare l’arduo cammino teso alla denuncia del reato subito.
Questa è la costante attività posta in essere da associazioni antiracket come S.O.S. IMPRESA, RETE LEGALE ETICA, RETE PER LA LEGALITA’ e molte altre a Napoli e nelle regioni maggiormente a rischio. Attività tese ad informare la vittima del reato della titolarità in capo alla stessa di diritti e non solo di obblighi verso i clan. Attività di prevenzione, informazione, impulso alla denuncia ed assistenza alle vittime di simili episodi delittuosi, finalizzate al ripristino della legalità nella più piena tutela del libero esercizio dell’attività economica.
L’interesse alla costituzione di parte civile è espresso attraverso criteri di collegamento quali l’ambito territoriale di operatività della associazione, in contrapposizione sempre più netta con la contestuale operatività del clan. Questo il primo compito dell’associazione antiracket: stimolare ed incentivare la costituzione, sul territorio regionale e nazionale, di un sempre maggior numero di associazioni di quartiere. L’associazionismo crea associazionismo a tutela della libertà di impresa ed è espressione del rifiuto del fenomeno mafioso da parte della società civile. Lo Stato ha il compito di garantirne la sicurezza.
La crescente presenza e visibilità del movimento antiracket sul territorio è inevitabilmente destinata a destare in maniera sempre più pressante l’interesse del sodale camorristico, che si vede man mano sottratto attraverso il crescente numero di denunce di episodi intimidatori ed estorsivi, il controllo su intere fette di territorio con conseguenti arresti e condanne.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Partecipazione attiva della vittima

Partecipazione della vittima al processo e scelte endo-processuali dell’imputato

Il consolidamento di un simile approccio al processo ed alla denuncia nonché una effettiva assistenza della vittima del racket in sede procedimentale è foriero di rilevanti risvolti a livello processuale.
I partecipi di sodali camorristici, come già indicato in precedenza, sono spesso assistiti tecnicamente da ottimi professionisti, in grado di compiere le opportune valutazioni e scelte processuali nell’interesse dei loro assistiti.
Si rileva come, dall’esame della casistica, nei procedimenti in cui le vittime del racket possono usufruire di una difesa tecnica nonché dell’ausilio delle Associazioni Antiracket, rendendo in tal senso descrizioni più precise e ricevendo sin dal primo momento dell’arresto una assistenza legale e non solo a trecentosessanta gradi, i procedimenti sono caratterizzati dal sempre maggiore accesso, da parte degli imputati, a riti cd alternativi al dibattimento, quali ad esempio il rito abbreviato di cui agli artt. 438 s.s. c.p.p.
In conseguenza di tale scelta l’imputato sarà giudicato esclusivamente sulla base degli atti acquisiti sino a quel momento dall’Ufficio del Pubblico Ministero senza il necessario vaglio dibattimentale. Tale rito non prevede la deposizione in aula dell’imprenditore a fronte di uno sconto di pena, ma la possibilità per il Giudice di utilizzare ai fini della decisione la denuncia e gli eventuali riconoscimenti fotografici effettuati dall’imprenditore nell’immediatezza dei fatti.

Scelte difensive di questo tipo, in base alla nostra esperienza, sono quasi sempre motivate dalle aspettative che i difensori degli imputati hanno, ho non hanno, in riferimento all’espletamento dell’istruttoria dibattimentale. La eventuale previsione di una pressoché puntuale conferma da parte dell’imprenditore di quanto deposto in sede di denuncia e qualora la denuncia stessa non lasci margini di incertezza, soprattutto se adeguatamente supportata da ulteriori indagini espletate, farà optare per la maggior parte dei casi per il rito abbreviato.
Si comprende come una simile scelta difensiva, sulla scorta della precisione delle dichiarazioni rese e di una ottima operazione di polizia giudiziaria, comporti una notevole diminuzione per la parte offesa del ruolo che la stessa si troverà a rivestire all’interno della vicenda strettamente processuale. Al contempo è garantita una maggiore celerità del procedimento ed un minimo dispiego di energie da parte di tutti gli attori processuali.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Il ruolo dell’avvocato antiracket

I poteri riconosciuti dal codice di procedura penale alla persona offesa dal reato, successivamente destinata a costituirsi parte civile, sono esercitabili dalla stessa a mezzo del proprio difensore e procuratore speciale.
La persona offesa assume nel processo una indiscutibile posizione di supporto a quella dell’Ufficio del Pubblico Ministero, ad esempio in procedimenti scaturenti dalla propria denuncia; le facoltà concesse dalla legge vanno in tal senso esercitate essendo di fondamentale importanza una pronta ed attenta assistenza legale sin dal compimento dei primi atti di indagine.
Alla persona offesa viene infatti riconosciuta tutta una fascia di diritti e facoltà a partire dalla fase delle indagini preliminari, poteri di impulso alle indagini, diritto di essere informato sullo stato delle stesse, fino ad opporsi ad eventuali richieste di archiviazione e prima che l’Ufficio del Pubblico Ministero proceda a richiedere l’emissione di misure cautelari e la conseguente richiesta di rinvio a giudizio.
La vittima di usura, estorsione e reati della stessa indole, proprio per il ruolo che assume, deve essere rappresentata in tutte le sedi procedimentali e processuali da un avvocato. Per la particolare tipologia di assistenza di cui la vittima di reati di tal genere necessita, il ruolo difensivo deve essere affidato ad un legale dotato di specifiche competenze in materia.
Il cd. avvocato antiracket, iscritto all’albo ordinario degli avvocati, è chiamato ad esercitare un duplice ruolo: tecnico-giuridico in senso stretto e di contestuale supporto psicologico diventando per vittima del reato il referente di ogni singola istanza, dubbio e paura. Il tutto teso a garantire la genuinità del pilastro accusatorio dibattimentale.
Difatti le dichiarazioni rese dall’imprenditore vittima di richieste estorsive assurgono spesso a prova principe ai fini della condanna degli imputati di concerto con riconoscimenti fotografici compiuti dallo stesso in fase di indagine, in aula o ancor più da un eventuale ricognizione personale disposta dal Tribunale stesso. Ulteriori attività investigative come intercettazioni telefoniche o ambientali, arresto a seguito di operazioni concordate a seguito della denuncia, seppur rilevanti ai fini della condanna spesso fanno da elemento accessorio alle insostituibili dichiarazioni della vittima che, de visu ha subito l’estorsione.
Solo una adeguata assistenza difensiva garantirà la genuinità e trasparenza del vaglio dibattimentale, avente ad oggetto fatti spesso risalenti nel tempo e darà modo alla vittima di affrontare l’intera vicenda con cognizione di causa, conscio dei passi che di volta in volta si accingerà a compiere.
In questo si sostanzia il ruolo fondamentale delle associazioni antiracket e della figura dell’avvocato antiracket le cui sinergie mettono in condizione la vittima di affrontare il percorso processuale con estrema lucidità, garantendo al contempo una deposizione dibattimentale scevra “vuoti di memoria”, spesso dovuti al tempo trascorso e libera da condizionamenti ambientali.
Gli imputati di tali reati sono infatti nella maggior parte dei casi, assistiti da interi collegi difensivi, per usare una espressione forse un po’ colorita “al soldo” degli stessi clan, e che, una volta giunti al dibattimento avranno come unico obbiettivo quello di far emergere nel racconto dell’imprenditore contraddizioni e lacune di memoria tesi a minarne la credibilità, sulla cui solidità spesso si fonda l’intero impianto accusatorio del pubblico ministero.
La testimonianza così resa dalla persona offesa ha quasi sempre ad oggetto fatti risalenti nel tempo, spesso articolati e relativi a più imputati nel medesimo procedimento, si da essere facilmente sottoposti al contro esame dei collegi difensivi nel rispetto delle garanzie processuali degli imputati stessi, che se non adeguatamente chiarite, potrebbero porre in discussione la prova principe dell’intero procedimento penale, le credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
Questa atipica figura di legale, ha scelto così in via definitiva di patrocinare esclusivamente vittime dei reati di tipo mafioso conseguentemente maturando sul campo una concreta incompatibilità alla assistenza di imputati in reati connessi e della medesima tipologia.
Tornando infatti alla deposizione resa dal nostro imprenditore tipo, narrata in via esemplificativa, è di facile comprensione capire quanta rilevanza assuma nella fase pre-dibattimentale, prima di essere cioè ascoltato dal pubblico ministero, il contatto necessario tra imprenditore ed avvocato antiracket.

Se la testimonianza in Tribunale in alcuni casi rappresenta così il cuore del processo, la denuncia della vittima del racket è spesso il presupposto dell’intera azione penale, cui spetta dar seguito all’ufficio del Pubblico Ministero attraverso il compimento di ulteriori atti di indagine. Tanto più complesse e dettagliate sono le ulteriori indagini a completamento, integrazione nonché riscontro della denuncia resa dall’imprenditore, tanto minore sarà lo sforzo in sede processuale richiesto alla vittima del reato ai fini di un sereno accertamento dei fatti.
Ecco come l’avvocato antiracket, di concerto con l’associazione antiracket, costituisce spesso l’interfaccia tra la vittima del reato e la Procura della Repubblica; è colui, che in veste di privato e di uomo prima, in veste di tecnico del diritto poi, presta assistenza ad operatori economici spesso angosciati e stremati dalle umiliazioni subite sino al momento della denuncia.
Gli incontri tra l’imprenditore ed il proprio avvocato sono così finalizzati a rasserenare lo stesso nell’ottica del futuro esame dibattimentale al contempo ripercorrendo, carte alla mano, l’intera vicenda da lui vissuta rendendolo edotto delle modalità con sui l’esame stesso sarà condotto, in considerazione del fatto che nella maggior parte dei casi la parte offesa stessa non ha mai varcato la soglia dell’aula di Giustizia.
Il Pubblico Ministero potrà in tal modo procedere all’esame di una parte privata, la persona offesa costituita parte civile, addivenendo nella maggior parte dei casi ad una testimonianza lineare e coerente.
L’avvocato antiracket opera pertanto dietro le quinte e spesso al di fuori del “teatrino” processuale creando i presupposti logici e di fatto tesi ad una deposizione logica e coerente ai fatti come realmente accaduti. La deposizione dell’imprenditore in aula è certamente uno dei momenti più critici, ma al contempo liberatori, dell’intera vicenda processuale.
A questo si deve aggiungere come non siano mancati, perché processualmente provati, episodi in cui le vittime stesse siano state oggetto di atti di intimidazione al fine di addivenire alla ritrattazione di quanto esposto in sede di denuncia.
Ecco il ruolo fondamentale dell’avvocato antiracket, tecnico del diritto e sensibile uditore delle paure, delle ansie e delle istanze di chi ha deciso di opporsi alla violenza dei clan, pronto in tal senso ad interfacciarsi direttamente con l’Ufficio della procura procedente per segnalare, in considerazione della tipologia dei reati per cui si procede, eventuali atti “intimidatori” posti in essere in danno della persona offesa nella fase antecedente l’escussione dibattimentale.
Questo a volte complesso sistema di relazioni tra Uffici della Procura, dirigenti delle Associazioni Antiracket e avvocato antiracket, mira così a garantire la persona offesa da qualsivoglia pressione psicologica o “criminale” che dovesse intervenire dalla fase della denuncia a quella della definizione dell’intero procedimento penale.
Il ruolo dell’avvocato antiracket è in tal senso supportato dal lavoro costante dei dirigenti delle Associazioni Antiracket, referenti anche politici ma ancor prima uomini capaci di ingenerare nella persona offesa la sicurezza che qualsiasi atto intimidatorio, qualsiasi segnale proveniente da chi si è reso reo di simili misfatti, non potrà che aggravare la propria posizione processuale, stante il filo diretto oramai esistente tra vittima, avvocato, associazione e Procura della Repubblica.
Questo è il chiaro messaggio diretto ad estorsori e sodali camorristici: l’imprenditore che denuncia non è più solo – è in una rete – che lo supporta nell’arco dell’intero procedimento garantendone così affidabilità e sicurezza.
L’avvocato antiracket da canto suo è un libero professionista che ha scelto, scelto di stare dalla parte di coloro che hanno subito la violenza e l’intimidazione del potere mafioso e camorristico. Imprenditori, commercianti, persone che da anni vivono e convivono in realtà come quelle di Napoli e provincia, dove la camorra non è un concetto astratto e lontano, ma un modo di pensare, di essere, i cui retaggi sottoculturali sono difficili da sconfiggere e dove la linea di confine tra il subire intimidazioni e prestare acquiescenza perché conniventi è molto sottile.
Questa scelta di parte non è scevra da problematiche. La preparazione tecnica del penalista garantisce una adeguata assistenza alla vittima del racket sia in fase di indagine che processuale. Al contempo la cultura stessa del penalista non consentirebbe di distinguere tra persone offese e loro aguzzini, in omaggio al principio del diritto inviolabile di difesa garantito costituzionalmente.

Nel prestare assistenza alle vittime del racket la scelta è d’obbligo, non esistono vie di mezzo, l’avvocato antiracket oltre a rappresentare la persona offesa e se stesso è parte di un movimento, parte di una cultura antagonista all’illegalità in cui le mafie operano ed in questo movimento ha scelto di operare ponendo al suo servizio la propria professionalità ed esperienza.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Esperienza di avanguardia

Una esperienza d’avanguardia
L’associazionismo antiracket sorto in Sicilia oltre venti anni fa, è nato e sperimentato in Campania solo da pochi anni, nuovi meccanismi, l’assistenza alle vittime di estorsione ed usura, una sempre farraginosa macchina burocratica che dovrebbe in tempo reale assicurare i risarcimenti alle vittime della mafia, fanno dell’associazionismo antiracket e del suo modo di opporsi fuori e dentro al processo una esperienza indiscutibilmente di avanguardia ed in aperto contrasto a consorterie criminali in possesso di enormi patrimoni.
Al contrario l’esperienza dell’associazionismo antiracket è ad oggi spesso legata a labili finanziamenti regionali, provinciali o comunali, che mettono in condizione gli operatori del settore di lavorare sempre in uno stato di continua precarietà in bilico tra militanza e volontariato, di certo al di sotto delle potenzialità che il fenomeno potrebbe esprimere e manifestare.
Decidere di assistere una vittima del racket, implica la necessità di possedere sul campo un forte consenso popolare. Il consenso si ottiene attraverso la creazioni di sedi, attraverso l’assunzione di personale, attraverso una continua campagna in favore della legalità, garantendo al contempo la sicurezza personale di vittime ed operatori. Questo richiede risorse economiche stabili. Due sono le alternative: la istituzionalizzazione delle associazioni antiracket o la possibilità per le stesse di ottenere con immediatezza dallo stato i risarcimenti riconosciuti dalle sentenze dei giudici di merito.
Tra mille difficoltà date dalla precarietà con cui sono spesso costrette a sopravvivere ad oggi ed in riferimento alla sola regione Campania questi sono i dati salienti della contrasto ad attività di estorsione ed usura – si tiene a precisare come i dati indicati siano relativi ai procedimenti di maggiore rilevanza ed a decorrere dal 01.01.05 – da consultare nella sezione I processi e la giurisprudenza

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Le istituzioni e la società civile

Un sistema così compiutamente organizzato e strutturato come l’associazionismo antiracket, le cui basi sono indiscutibilmente state gettate nel corso degli ultimi dieci anni, deve trovare la giusta strada per far risvegliare le coscienze civili oramai sopite, unica strada per una reale rinascita delle nostre terre.
Il sistema legislativo, seppur ancora non perfettamente oliato esiste e necessità di un sempre più forte coordinamento a livello istituzionale essendo strutturato a partire dalle leggi 108/96 e 44/99 istitutive dei fondi di solidarietà ed assistenza alle vittime del racket e dell’usura, cui fanno seguito la L.512 del 1999 e la L.575 del 1965 in tema vittime della mafia e confisca dei beni e misure di prevenzione a carico di mafiosi o presunti tali.
E’ proprio in riferimento alla cit. L.512 del 1999, istitutiva del Comitato di Solidarietà delle Vittime dei reati di tipo mafioso, che rileva quale segno di alta civiltà giuridica, l’impegno che lo Stato assume, in proprio, di risarcire materialmente le vittime di tali reati riservandosi la possibilità di agire sul patrimonio mafioso per la reintegra di quanto pagato, magari incentivando l’uso dei beni confiscati. La vittima del reato non è così posta assurda condizione di dover richiedere il pagamento di quanto liquidato dal giudice con la sentenza di condanna agli esponenti dei sodali camorristici contro cui si è già faticosamente opposta nel corso del procedimento. Punto dolente del su citato meccanismo si sostanzia ad oggi esclusivamente di una eccessiva burocratizzazione dello stesso in questa sede auspicandosene una maggiore celerità nella valutazione e liquidazione delle istanze.
In conclusione l’auspicio è che attraverso un sempre maggior coordinamento tra Istituzioni e Società civile, nonché attraverso una revisione in senso critico e migliorativo dei meccanismi legislativi tesi alla gestione dei beni oggetto di confisca alle mafie ed al risarcimento economico e non solo delle vittime stesse, cresca il numero di imprenditori e comuni cittadini che decidano di denunciare ogni forma di intimidazione ed oppressione esercitata dalla mafia sul territorio poiché questa vive del silenzio e nel silenzio della costante intimidazione.
E’ così che attraverso la denuncia e la rete di assistenza creata da associazioni antiracket operanti sul territorio e società civile, forti della costante presenza dello Stato, interi sodali camorristici hanno visto confiscati i propri beni provento di reato. Reimmessi nel circuito legale potranno essere reimpiegati per contrastare realmente la criminalità organizzata attraverso attività di prevenzione e repressione nonché garantire in tempo reale un totale e doveroso risarcimento del danno alle vittime della mafia.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Il progetto Gestio

Nell’ambito delle attività poste in essere nel corso degli ultimi dieci anni dai professionisti aderenti alla rete di Rete Legale Etica, si presenta una proposta di impostazione operativa in un settore strettamente connesso alle azioni poste in essere dalla Rete a sostegno di cittadini, imprenditori e più in generale della libertà di iniziativa economica privata dal crimine organizzato.
La rete non vuole essere un collettore, una lobby, un canale di intermediazione clientelare ma semplicemente contribuire a creare e gestire dei parametri professionali, ma soprattutto etici e morali, cui uniformare la condotta dei professionisti aderenti nell’espletamento delle funzioni caratterizzanti gli incarichi professionali in tema di gestione di beni sottratti al crimine organizzato, incarichi che vengono acquisiti a titolo personale senza alcuna corresponsione di commissioni o compensi da parte della Rete.
Rete Legale Etica allora, attraverso la creazione di meccanismi di controllo e di adesione del professionista, si pone come garante della condotta etica, morale e strettamente operativa dello stesso restando insindacabili le condizioni poste a fondamento del permanere dei requisiti del professionista.
Rete Legale Etica nel corso degli ultimi dieci anni ha contribuito attivamente attraverso i suoi professionisti alla nascita ed allo sviluppo dell’intero movimento antiracket ed antiusura partenopeo assistendo decine di vittime ed enti in ambito giudiziario, stipulando numerosi protocolli con enti di prestigio come ad esempio il Comune di Napoli, sostenendo campagne attraverso il proprio portale sulle tematiche dell’educazione alimentare in campo minorile e contrasto alle agromafie senza mai venir meno al rispetto dei suoi principi e regole fondanti e del Codice Etico della rete
La tematica su cui la Rete si confronta oggi è quella della gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata e lo fa attraverso il suo Progetto “Gestio” attraverso cui la rete si pone come anello di congiunzione, tra il caos normativo e prassi giudiziali, ed il suo pool di professionisti, avvocati, commercialisti e tecnici al fine di consentire una gestione dei beni sottratti al crimine organizzato non solo corretta sul piano procedurale ma eticamente orientata alla salvaguardia del bene ed alla rottura da schemi e logiche clientelari che ne hanno in parte viziato il percorso di riconversione del bene stesso dal circuito illegale alla restituzione alla collettività e per la collettività.
Di sotto una prooposta di impostazione operativa con le potenzialità che la rete potrebbe porre in campo a sostegno del progetto “Gestio”: professionisti, studi professionali di riferimento aderenti, curricula professionali e sedi operative.

a cura dell’ avv. Motta e dell’ avv. Nello

I reati agroalimentari

Da un punto di vista statistico, circa un terzo dei reati contro i consumatori si consumano nell’ambito del commercio di prodotti agroalimentari.
La distribuzione geografica della relativa casistica sull’intero territorio nazionale appare tutt’altro che omogenea, essendo concentrata in alcune aree, precisamente quelle con una storia imprenditoriale in questo settore merceologico oppure quelle in cui la spesa alimentare incide sul reddito familiare in misura percentualmente più rilevante.
Esemplare, in tal senso, è il caso del circondario del Tribunale di Nocera Inferiore (SA), nel quale si manifestano entrambe le sintomatologie sopra citate, a cominciare dalla storica presenza delle aziende della filiera di quello che un tempo veniva definito “oro rosso” (il pomodoro).
Oltre al potenziale intreccio eziologico, i reati in materia agroalimentare presentano un costante intreccio tra due diritti collettivi violati:
1. quello alla salute, che è un diritto costituzionale (art. 32);
2. quello alla sicurezza e qualità dei prodotti, che è un diritto commerciale (art. 2, comma 2°, codice del consumo).
A ben vedere, sono danneggiati anche altri diritti commerciali collettivi, riconosciuti dal citato art. 2, comma 2°, tra i quali quelli all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà e alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali.
La circostanza che tale tipologia di reati leda un diritto addirittura costituzionale (sostanzialmente fuso nelle fattispecie con un diritto di rango inferiore), determina una importante conseguenza pratica: i reati che si consumano nell’ambito del commercio di prodotti agroalimentari sono i reati più dannosi per i consumatori.
La casistica sui reati in materia di prodotti agroalimentari, oltre ad essere quantitativamente consistente, è anche qualitativamente eterogenea, investendo un’ampia classe di reati, a partire proprio da quello che abbiamo citato all’inizio del nostro viaggio nel mondo dei reati contro i consumatori: la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione igienico-sanitario (Legge 30 aprile 1962, n. 283, articoli 5 e 6).
Il signor P.V., per esempio, commise tale reato, perché esercitava la professione di panificatore senza alcuna autorizzazione e, per giunta, utilizzando legna rivestita di vernice come combustibile per il suo forno; il Tribunale di Napoli, Sezione I Penale, G.M. dottor Di Marzio, con la sentenza del 7 gennaio 2010, lo ha condannato (anche) a risarcire i danni all’associazione di consumatori X, costituitasi parte civile.
Possiamo dunque affermare che quel reato, previsto e punito da una legge del 1962, soltanto dal 2010 è stato riconosciuto come reato contro i consumatori.
Peraltro, statisticamente nella maggior parte dei casi quel reato viene punito (non attraverso un processo, ma) attraverso un decreto penale di condanna (art. 459 e ss. c.p.p.), nel quale, com’è noto, non esiste condanna civile.
Vediamo più precisamente cosa accade in pratica, proprio partendo dall’esempio citato.
Come tutti i panificatori, autorizzati o abusivi, il signor P.V. lavorava di notte, ma, a differenza di quelli in regola con la legge, il suo forno produceva un tale inquinamento, acustico e ambientale (quest’ultimo tramite il camino), da aver provocato la reazione di alcuni cittadini, residenti nella zona, i quali avevano allertato i Carabinieri; quest’ultimi, intervenuti attraverso il reparto NAS, avevano denunciato P.V. e, successivamente, assunto la veste di testimoni nel processo.
In questo caso, la notizia di reato è stata la denuncia dei Carabinieri, ma esistono anche altre fonti che denunciano – più o meno quotidianamente – violazioni della Legge 283/62: la Polizia municipale (o comunque locale) e gli ispettori delle Aziende Sanitarie Locali.
Una volta registrate nelle Procure, queste notizie di reato possono imboccare due strade alternative: il decreto penale di condanna oppure la citazione diretta (art. 555 c.p.p.).
Si determina, così, una situazione paradossale, perché lo stesso reato nel primo caso non può mai essere considerato un reato contro i consumatori, mentre nel secondo caso lo può diventare, ma solo a condizione che nel processo si costituisca parte civile un’associazione di consumatori.
Peraltro, una parte della giurisprudenza considera quello un reato di pericolo e non un reato di danno, come se il sequestro fosse effettuato all’atto dell’inaugurazione dell’esercizio commerciale e non, come avviene effettivamente e almeno di regola, dopo che il commerciante ha già provveduto a vendere prodotti in cattivo stato di conservazione a ignari consumatori, nei confronti dei quali il danno emergerà dopo l’assunzione del prodotto (consideriamola, questa, una presunzione iuris et de iure) .
Come che sia, sottraendo la “tara”, cioè calcolando i soli casi in cui vi sia stata citazione diretta, s’impongono due considerazioni:
1. da un punto di vista quantitativo, questi casi sono comunque numerosi;
2. da un punto di vista qualitativo, nell’ambito della categoria dei reati in materia di commercio di prodotti agroalimentari, questi processi non sono quelli più significativi.
I processi più significativi, infatti, possono essere classificati in due categorie:
1. quelli sulla “sicurezza alimentare” (tra i quali rientrano anche i reati previsti e puniti dalla Legge 283/62), nei quali sia contestata l’associazione a delinquere (reato che non viene mai contestato con riferimento alla legge 283/62, trattandosi di violazioni commesse dalle singole persone denunciate);
2. quelli sulla “agropirateria” (italian sounding).
Nell’ambito della prima sotto-categoria, vengono in considerazione, innanzitutto e per esempio, i due maxi-processi sulla “carne infetta”.
Tra il mese di marzo del 2001 e il mese di gennaio del 2003 , i NAS dei Carabinieri, anche su delega del Ministero della Salute, condussero una vasta indagine, denominata Operazione Meat Guarantor (“Il garante della carne”) , nota all’opinione pubblica non soltanto attraverso la stampa quotidiana ma anche attraverso la letteratura .
L’indagine venne divisa in due tronconi, di competenza – rispettivamente – delle Procure di Nola (NA) e Nocera Inferiore (SA) , sfociando poi in due distinti processi a carico complessivamente di 117 imputati (73 a Nola e 44 a Nocera Inferiore), tra allevatori, macellai e medici veterinari pubblici, molti dei quali settentrionali .
Pur non essendo questa la sede per illustrare dettagliatamente o anche solo riassumere i numerosi capi d’imputazione, ci limitiamo a elencare i reati contestati agli imputati: articoli 416, commi 1°, 2° e 5°, associazione a delinquere finalizzata a commettere i reati di cui agli articoli 314, 323, 326, 328, 334, 348, 349, 378, 440, 444, 476, 479, 482, 483, 484, 485, 500, 515, 516, 648 e 648 bis, c.p.
Ciascuno dei reati testé elencati, può essere considerato un reato contro i consumatori e, nelle fattispecie, tutti questi reati sono stati considerati tali dai Tribunali di Nola e Nocera Inferiore, a seguito della costituzione di parte civile di un’associazione di consumatori.
Se per alcuni di questi reati l’inquadramento come reati contro i consumatori appare facilmente comprensibile o quantomeno intuibile (ci riferiamo, evidentemente, agli articoli 440 , 444, 500, 515 e 516 c.p.), per altri reati l’inquadramento può apparire sorprendente o, addirittura, eccentrico.
Pensiamo, ad esempio, al reato di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 479 c.p.), contestato a molti imputati nei due processi citati, i quali, nella loro veste di veterinari dipendenti di Aziende Sanitarie Locali (dunque pubblici ufficiali), nell’esercizio delle loro funzioni ispettive avevano falsificato (questa era l’accusa) la documentazione accompagnatoria dei bovini nella parte relativa alle attestazioni sanitarie, attestando, in pratica, che capi di bestiame destinati alla macellazione (dunque al consumo umano) erano sani, quando, in realtà, erano malati.
Trattasi – certo – di reato contro la fede pubblica, ma quest’ultima non è un concetto astratto, una sorta di Moloch da intendersi esclusivamente come sinonimo di Stato.
Quel reato, commesso da quei soggetti attivi e con quelle modalità, certamente si concretizza in un tradimento rispetto al datore di lavoro, ma quest’ultimo non è il principale soggetto danneggiato, perché il danno, alla salute e commerciale, colpisce proprio e principalmente i consumatori (di carne bovina).
In definitiva, quello è un reato contro i consumatori.
Naturalmente, questi due processi sulla carne infetta non sono stati gli unici processi penali relativi ad associazioni a delinquere finalizzate a commettere reati in danno della sicurezza alimentare e, in definitiva, in danno dei consumatori.
Tra gli altri processi, citiamo, ad esempio, quello del burro adulterato (Tribunale di Nocera Inferiore), quello dell’olio d’oliva adulterato (perché venduto come extravergine ma, in realtà, ottenuto con oli di semi: Tribunale di Vallo della Lucania) e quello dell’importazione dalla Spagna di suini malati destinati alla macellazione per il consumo umano (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere).
Un caso assimilabile a quelli appena citati, benché non sia stata contestata ai numerosi imputati (29) l’associazione a delinquere ma soltanto il commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.), peraltro in forma concorrente (art. 110 c.p.), è il processo dei “cozzicari”: pescatori e pescivendoli, i quali, rispettivamente, pescavano (nelle inquinate acque marine antistanti il porto di Torre Annunziata) e “detenevano per il commercio ovvero distribuivano per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, nelle specie mitili di vario genere (ostriche, casolare, vongole, tartufi ed in particolare cozze)” non stabulati, cioè non depurati “e così pericolosi per la salute pubblica”.
Il Tribunale di Nola, G.M. Dott.ssa Bilosi,con la sentenza 13 dicembre 2005, n. 1775, confermata da Corte d’Appello di Napoli, Sezione VII, 7 aprile 2008, n. 2853, ha affrontato il caso di cinque tedeschi, tra componenti del consiglio di amministrazione di una società e dirigenti della stessa, che avevano venduto a un caseificio di San Giuseppe Vesuviano (NA) una partita di latte contenente dosi eccessive di furosina, tali da determinare un effetto di “stracchinamento”: in pratica, il fiordilatte prodotto da quel caseificio con quel latte, una volta venduto a varie pizzerie si trasformava in granuli di ricotta non commestibili.
Questo caso di commercio di latte non genuino come genuino (articolo 516 c.p.), merita una citazione a parte, non soltanto perché agli imputati era stata contestata anche la truffa (tedeschi che truffano napoletani, in barba ai luoghi comuni), ma perché l’associazione di consumatori X era intervenuta ad adiuvandum rispetto ai querelanti (i titolari del caseificio), previo consenso scritto di quelle parti civili nel quale si dichiarava, come poi è stato confermato dalle emergenze dibattimentali, che i consumatori (clienti delle pizzerie, a loro volta clienti del caseificio) erano stati danneggiati dalle condotte degli imputati, quantomeno limitatamente all’art. 516 c.p.
Per quanto riguarda, invece, l’agropirateria, il primo riferimento normativo è il Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio dell’Unione Europea, emanato il 20 marzo del 2006 e pubblicato sulla GUCE del 31 marzo 2006, “relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari” (IGP e DOP), il cui articolo 13 specifica le finalità di tutela dei prodotti agricoli e alimentari (sui quali si veda anche il contestuale Regolamento n. 509).
Il commercio di aliud pro alio, punito in forma generale dagli artt. 515, 517 e 517 bis c.p., nel settore alimentare è punito in forma specifica dall’art. 517 quater c.p., introdotto dalla Legge 23 luglio 2009, n. 99, art. 15, comma 1, lett. e), proprio per proteggere quei prodotti alimentari – molto numerosi in Italia – garantiti ai consumatori con IGP (indicazioni geografiche protette) e DOP (denominazioni d’origine protette).
La casistica in materia è piuttosto significativa, soprattutto nella fase di transizione dalla tutela generale a quella specifica.
Ad esempio, possiamo citare il caso del “Provolone del Monaco”, un formaggio tipico della Penisola sorrentina, che gode del riconoscimento di denominazione di origine protetta (DOP), giusto Decreto di Protezione Transitoria dell’11/7/2005 e con marchio registrato all’Ufficio Italiano Brevetti.
Il 27 giugno del 2008, dunque prima dell’entrata in vigore dell’art. 517 quater c.p., in un supermercato di Napoli personale del Corpo Forestale dello Stato sequestrò un certo quantitativo di provolone “generico” venduto come Provolone del Monaco, denunciando un commerciante.
Nel successivo processo, il Tribunale di Napoli, Prima Sezione Penale, G.M. dottor Lomonte, dopo aver ammesso la costituzione di parte civile dell’associazione di consumatori Y, così sentenziò: “L’ipotesi criminosa in contestazione si caratterizza per essere un reato di pericolo ad incertam personam che si consuma allorché vengano messi in circolazione prodotti che traggano in inganno il consumatore. L’interesse tutelato, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, è sia l’ordine economico che la lealtà dei rapporti commerciali (cfr. Cass. 7 agosto 1996, Pagano, e ss. conformi)” (sentenza 10 maggio 2011, n. 6936, depositata il 31 maggio).
I reati contestati erano gli articoli 517 e 517 bis c.p.; se il sequestro fosse stato effettuato dopo l’entrata in vigore dell’art. 517 quater, sarebbe stato contestato proprio questo reato, che – invece – è contestato nell’indagine relativa al sequestro nel porto di Salerno di 385 tonnellate di falso pomodoro San Marzano.

a cura dell’ avv. Agostino La Rana

Aspetti tecnici e legislativi delle frodi alimentari

La frode è intesa come condotta illecita dettata da intenzione dolosa e tale da creare danno ad altri. Nel settore alimentare sono considerate condotte illecite quelle che ledono i diritti legali e commerciali (contrattuali/patrimoniali) del consumatore.
Il reato di frode è stato inserito nel D.Lgs 231/2001, insieme ad altri reati di natura industriale, tra i presupposti atti a determinare la concorrente responsabilità amministrativa dipendente dal reato, della persona giuridica cioè della società/azienda che accoglie l’agente del reato stesso.
Quando si parla di frodi alimentari si fa riferimento alla produzione, trasformazione, distribuzione e quindi al commercio di alimenti non conformi alla normativa vigente. Le frodi alimentari si dividono in due tipologie:
FRODI SANITARIE che consistono nel ledere i diritti legali del consumatore e quindi nel rendere nocive le sostanze alimentari, attentando e ledendo la salute del consumatore (art.32 Costituzione – Tutela della salute pubblica): Possono essere commesse da ”chiunque detiene per il commercio o pone in commercio o distribuisce per il consumo,acque,sostanze o cose da altri avvelenate,adulterate o contraffatte in modo pericoloso per la salute pubblica”.
FRODI COMMERCIALI che ledono i diritti contrattuali e patrimoniali del consumatore (C.P.Tutela della buona fede del consumatore – lealtà degli scambi commerciali). Si tratta di reati compiuti da chi nell’esercizio del commercio ”consegna all’acquirente una cosa per un’altra o diversa da quella dichiarata o pattuita per origine, provenienza, qualità o quantità”. In tal modo non si rendono “nocive” le sostanze alimentari,ma si realizza un inganno ed illecito profitto a danno del consumatore ( es. vendita per tara merce = pesare la carta con la merce).
L’approccio al sistema sanzionatorio delle frodi alimentari penalmente rilevanti si lega alla riconducibilità delle trasgressioni a tre diversi livelli:
Il primo livello (Reati di pericolo concreto = nocività’) riguarda la disciplina prevista dagli articoli 439, 440, 442, 444, 452, 514, 515, 516, 517,del Codice penale.
Il secondo (Reati di pericolo potenziale=PERICOLOSITA’) riguarda la Legge n° 283/1962 inerente la disciplina igienico-sanitaria della produzione e della vendita delle sostanze alimentari;
Il terzo riguardale normative specifiche di settore che disciplinano la composizione (in natura o nel disciplinare) e le modalità di conservazione dei prodotti alimentari.
CODICE PENALE
Reati di pericolo concreto (nocività)
Art. 439: avvelenamento di acque o di sostanze alimentari
Art.440: adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari
Art.441: adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute Art.442: commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate
Art.444: commercio di sostanze alimentari nocive
Art.452: delitti colposi contro la salute pubblica
Reati di pericolo concreto (inganno ed illecito profitto)
Art.514: frodi contro le industrie nazionali
Art.515: frode nell’esercizio del commercio
Art.516: vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine
Art.517: vendita di prodotti industriali con segni mendaci
Art.517 bis: circostanza aggravante
Il Codice penale riguarda i reati di pericolo concreto (nocività) commessi mediante frode sanitaria o commerciale (inganno e illecito profitto) ed infatti punisce le condotte illecite di adulterazione, contraffazione e sofisticazione di sostanze alimentari atte a produrre danni alla collettività (erga omnes).
Le disposizioni della LEGGE 283/62 (art.5) sanzionano invece le violazioni (reati di pericolo potenziale = pericolosità) quindi le condotte illecite di alterazione delle sostanze alimentari concernenti la genuinità (= sostanza alimentare che contiene con la max. esattezza le sostanze o
i loro quantitativi previsti da natura o disciplinare, e che non contiene additivi vietati) l’integrità (stabilità della composizione biologica-chimica-fisica) e la purezza (sostanza adatta al consumo umano dal punto di vista commerciale, merceologico, legislativo ed igienico-sanitario) dei prodotti alimentari. Detta legge assoggetta a vigilanza e controllo per la tutela della salute,la produzione ed il commercio delle sostanze destinate all’alimentazione umana(art.1,3,4-UPG); inoltre prevede,tra l’altro, l’autorizzazione sanitaria (art.2 – oggi trasformata in DIA/SCIA per la registrazione /riconoscimento); prevede l’etichettatura dei prodotti alimentari (art.8); prende in considerazione le pubblicità improprie ed ingannevoli (art.13).
Legge 283/62 art. 5
E’ vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere o detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:
a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne (variate) la composizione naturale (o da disciplinare), salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali;
b) in cattivo stato di conservazione;
c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali (O.M. II.XI78-Reg.CE2073/05)
d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione;
e) abrogato
f) abrogato
g) con aggiunta di additivi chimici (D.M.209/92) di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisione annuale;
h) che contengono residui di prodotti (fitosanitari) usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo. Il Ministro per la sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza (LMR) e l’intervallo per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra un trattamento ed il successivo (persistenza), tra l’ultimo trattamento e la raccolta (carenza) e per le sostanze alimentari immagazzinate, tra l’ultimo trattamento e l’immissione al consumo (tempo di persistenza; tempo di carenza; tempo di rientro (nel campo trattato); DL50 (= dose di veleno che uccide il 50% degli animali trattati).
Nel 1999 con il D.Lgs n°507 del 30 dicembre ‘99 viene introdotto nel quadro normativo nazionale la “Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio” che porta il
legislatore a trasformare, in varie norme vigenti, le sanzioni penali in sanzioni di natura amministrativa. Tuttavia non sono depenalizzati i reati previsti dagli articoli 5, 6, 12 della Legge 283/62. Lo stesso Decreto, all’art. 5 introduce nel Codice Penale l’art. 517 bis che prevede la “circostanza aggravante” per le violazioni che interessano le produzioni alimentari protette da marchi europei. Le pene stabilite dagli articoli 515, 516, 517 C.P. sono aumentate (aggravate!) se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti e bevande protetti da marchi europei (DOP-IGP- STG). In tali casi il Giudice di I° grado,nel pronunciare la condanna, se il fatto è di particolare gravità da cui sia derivato danno per la salute pubblica o in caso di recidiva specifica, dispone la revoca del provvedimento che autorizza l’attività commerciale cui segue chiusura definitiva; in casi meno gravi dispone la sospensione del provvedimento con chiusura temporanea da cinque giorni a tre mesi.
In tale contesto vanno ricordati inoltre altri articoli del codice penale come l’art. 473 C.P. (Contraffazione e Alterazione dei marchi europei), art.474 C.P. (Introduzione e Commercio negli Stati UE di prodotti con marchi contraffatti o alterati), art. 474 bis C.P. (Confisca di tali prodotti), art.474terC.P. (Circostanza aggravante: per dettagliata organizzazione delle azioni delittuose), art.474 quater C.P. (Circostanza attenuante: per dimostrazione di collaborazione).
La Legge 99/2009 a sua volta ha introdotto nel Codice Penale gli artt.517 ter (Fabbricazione e Introduzione/Commercio di prodotti DOP-IGP-STG con marchi EU usurpati -per profitto), 517 quater (Contraffazione-imitazione perfetta e Alterazione – imitazione imperfetta – di prodotti contrassegnati da marchi europei -per profitto), 517 quinquies (circostanza attenuante per dimostrata collaborazione), riguardanti altre fattispecie penali inerenti tali produzioni.
Il D.Lgs 297/2004 aveva già previsto disposizioni sanzionatorie amministrative riguardo a violazioni che interessavano le produzioni protette da marchi europei, senza tralasciare di prevedere la “riserva penale” per le varie fattispecie considerate nel Decreto stesso. Per cui con la promulgazione della Legge 99/2009 viene a configurarsi un “concorso di norme” tra le due disposizioni legislative. Le due norme realizzano un concorso formale in quanto tutelano diverse oggettività giuridiche(la legge 99/2009 tutela la buona fede del consumatore; il D.Lgs 297/2004 tutela la salute del consumatore) e quindi sono entrambe applicabili, per cui utilizzando l’art 24 della Legge 689/81 ne deriva la competenza a conoscere del Giudice unico di 1° grado per entrambe le violazioni. Per la violazione amministrativa il Giudice può delegare a procedere l’Organo che l’ha accertata.
Di recente il Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, sicurezza alimentare e nutrizione ha presentato una bozza del Codice della sicurezza alimentare già sottoposto alla visione della Commissione Interregionale per il parere,in attesa di discussione al tavolo della Conferenza Stato-Regioni, che prevede la depenalizzazione dei reati alimentari con la sparizione dell’azione penale (Capo VI). Ciò ha suscitato notevoli proteste da parte di tutte le Associazioni di categoria ed in specie dei consumatori, con blocco dei lavori sul Codice.
Va inoltre ricordato che il Ministero della Salute, periodicamente pubblica, giusto art.8 della Legge 462/86 (metanolo!!), un DECRETO Min. Salute contenente l’elenco delle ditte commerciali e dei produttori del settore alimentare che hanno riportato condanne con sentenza passata in giudicato.
A proposito poi dell’art. 452 del C.P. (Delitti colposi contro la salute pubblica) viene precisato che quando i fatti previsti dagli art. 440, 442, 444 sono commessi per COLPA (lieve-media-grave per imprudenza, imperizia, negligenza) e non per dolo, le pene stabilite dagli articoli citati sono ridotte da un terzo ad un sesto.
Il D.Lgs 109/92 (ETICHETTATURA prodotti alimentari), nella fattispecie di etichettatura irregolare o assente=mancanza (sentenza Cassazione n°27704/2010) realizza concorso di norme con l’art.515
del C.P. Si tratta, infatti, di concorso formale in quanto le due norme tutelano diverse oggettività giuridiche (il D.Lgs 109/92 tutela la salute pubblica mentre l’art 515 del CP tutela la buona fede del consumatore) e pertanto le norme sono entrambe applicabili (art.24 Legge 689/81).
Per le frodi alimentari su trattate va presa in considerazione anche la FORMA TENTATA DEL DELITTO che consiste nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere la fattispecie di reato senza che,tuttavia, si verifichi il pericolo per la salute.
FATTISPECIE DI FRODI ALIMENTARI
Adulterazione (Codice Penale art. 440,442) Azione fraudolenta consistente in
“modificazione“non dichiarata (in etichetta), dei componenti del prodotto alimentare. Il prodotto viene privato di componente utile per la sua efficacia nutritiva e/o si aggiunge sostanza di scarso valore per aumentare il peso /volume. Modificazioni nella composizione analitica del prodotto alimentare per aggiunta o sottrazione di componenti senza che il prodotto venga modificato in maniera apprezzabile (latte scremato X intero—latte, vino annacquati).
Contraffazione (Codice Penale art. 440.442) Azione fraudolenta a “imitazione perfetta” per
far apparire un prodotto alimentare dotato di caratteristiche diverse da quelle che realmente possiede. Il prodotto viene presentato e dichiarato con caratteristiche di un prodotto più pregiato. Totale “sostituzione” di una sostanza alimentare con un’altra di minor pregio,ingannando il consumatore. Frode molto pericolosa quando per sostituire i componenti originali/naturali si utilizzano sostanze nocive.(olio di semi (di colza =ac.erucico!!) X olio d’oliva—margarina X burro).
Sofisticazione (Codice Penale art.515/art.5 L. 283/62) Azione fraudolenta consistente nel
sostituire alcuni costituenti del prodotto alimentare con altri di minor pregio. Il prodotto viene trattato in modo da renderlo più attraente o simile ad altri prodotti più pregiati e quindi più costosi. “Aggiunta” all’alimento di sostanze estranee alla sua composizione X migliorare aspetto— X mascherare difetti vari e di procedimenti produttivi—X ravvivare il colore (nitriti nitrati) –X mascherare uso di materie prime di cattiva qualità. Impiego di coloranti e conservanti non autorizzati o se autorizzati quando sono aggiunti in quantità superiore al limite di legge o fuori dalle procedure di legge(vino:solfiti)(alcool etilico sostituito con alcool metilico=metanolo!!!)
Alterazione (Legge.283/62 art. 5) Azione fraudolenta consistente nella “variazione” delle caratteristiche di composizione ed organolettiche e quindi nutrizionali di un prodotto alimentare, dovuta a fenomeni degenerativi spontanei o inadeguata/errata modalità di conservazione.(eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione: scadenza –t.m.c.).
Nei prodotti alimentari, sia naturali che composti-preparati secondo un dato disciplinare, sono presenti vari costituenti in determinate proporzioni che vanno mantenuti costanti salvo modificazioni previste per legge (solfiti!!). I coadiuvanti tecnologici, ad es., usati nelle lavorazioni per coadiuvare il processo produttivo, non debbono assolutamente residuare all’interno del prodotto alimentare. (Es. assenza di esano – gas utilizzato per l’estrazione – nell’olio di sansa di olivo).
FATTISPECIE DI FRODI ALIMENTARI:
 false dichiarazioni in merito alla provenienza,alla qualità, alla composizione, ed alle caratteristiche di un prodotto alimentare;
 indicazioni ingannevoli ed insidiose atte a magnificare indebitamente un prodotto alimentare e le sue caratteristiche;
 mancata corrispondenza degli ingredienti dichiarati in etichetta(realizzata attraverso l’assenza o minor contenuto);
 mancata dichiarazione degli ingredienti vietati o di minor valore (olio d’oliva in luogo di olio extra vergine di oliva;
 manipolazioni della data di scadenza o del termine minimo di conservazione;
* Già Direttore SIAN ASL Taranto

a cura dell’ avv. Fedele e della Dott.ssa Mazzola

Le frodi negli alimenti di origine animale

Rapporto agromafie 2015

Una filiera che corre “dal produttore al consumatore”, per un giro di affari che nel 2014 ha raggiunto 15,4 miliardi di euro. È questo secondo il Rapporto Agromafie 2015 il volume del crimine agroalimentare in Italia. Lo studio presentato il 15 gennaio a Roma dai presidenti di Coldiretti, Roberto Moncalvo, di Eurispes, Gian Maria Fara, e dall’ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli, che oggi presiede l’Osservatorio sulla criminalità agroalimentare creato dai due enti, denuncia un aumento degli affari delle agromafie in Italia del 10 per cento solo nell’ultimo anno. Un dato che dimostra quanto l’agroalimentare sia diventato un settore di investimento privilegiato per la malavita e quanto questa economia sporca riesca a crescere nonostante la recessione economica.
Il rapporto ricorrendo ai dati raccolti da forze dell’ordine, magistratura e altre istituzioni di settore, traccia i contorni di una criminalità che giganteggia sull’intera filiera agroalimentare accaparrandosi terreni, gestendo manodopera agricola, occupandosi di produzione, trasporto e stoccaggio della merce. Fino all’acquisto di supermercati e ristoranti, dal nord al sud d’Italia, e pure fuori dai confini nazionali. Proprio la ristorazione si mostra come uno dei settori maggiormente a rischio, tanto da far contare circa cinquemila locali nelle mani della criminalità organizzata, dai franchising ai locali esclusivi, dai bar alle trattorie, ai ristoranti di lusso fino agli aperibar alla moda. Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde.

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La crescita dell’agromafia, secondo lo studio, è favorita da situazioni congiunturali, come quelli climatici e di crisi economica, ma anche dalla volontà di alcuni soggetti “puliti” che decidono di investire il loro denaro in settori redditizi come l’illecito del settore agroalimentare, che ha dimostrato di saper crescere anche in un periodo di recessione. Il fenomeno prende il nome di money dirtying e consiste nell’investimento di capitali puliti nell’economia sporca, ovvero l’inverso del riciclaggio. Un travaso che ogni mese sposta dall’economia sana a quella illegale circa 120 milioni di euro, un miliardo e mezzo all’anno, ma che ha anche effetti di ibridazione tra mondo legale e illegale che vanno ben al di là della semplice sfera economica, mettendo in stretto contatto “colletti bianchi”, imprenditori, esponenti delle istituzioni e personaggi “borderline” quando non direttamente esponenti del mondo criminale.
Secondo Coldiretti/Eurispes anche il prossimo appuntamento di Expo 2015 potrebbe rappresentare un momento di pericolo per il settore agroalimentare. Perché potrebbe favorire i traffici illegali di alimenti e riversare sul mercato tonnellate di prodotti contraffatti e venduti come made in Italy. Del resto questo tipo di contraffazione già esiste ed è stata rilevata nelle più recenti inchieste giudiziarie che hanno scoperto limoni sudamericani commercializzati come limoni della penisola sorrentina; agrumi nordafricani trasformati in agrumi siciliani e calabresi; mozzarella venduta come made in Italy e prodotta con cagliate del Nord Europa. Per non parlare delle sofisticazioni e frodi legate alla produzione e commercio di olio di oliva e pomodoro, che rappresentano i due prodotti più a rischio. Sono spesso le annate magre, come questa del 2015, che aprono la porta a prodotti di minore qualità o direttamente illegali. Secondo Coldiretti il mercato europeo dell’olio di oliva, con consumi stimati attorno a 1,85 milioni di tonnellate, rischia quest’anno di essere invaso dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza.
In chiusura il rapporto dedica alcune pagine anche agli acquisti sul web e al fatto che, accanto alle esperienze positive, l’e-commerce venga spesso utilizzato come porto franco per prodotti taroccati. L’incremento degli acquisti sulla rete, nel nostro Paese, è stato del 17% rispetto all’anno precedente, per un volume economico pari a 13,2 miliardi di euro, e in questo contesto il settore agroalimentare si è collocato al secondo posto della classifica, con una quota del 12%. Il punto è che sono stati individuati, solo nell’ultimo anno, 70 diverse tipologie di prodotti contraffatti che venivano venduti sul web. Tra gli alimenti per i quali sono state più spesso le frodi più frequenti figurano i prodotti tipici della tradizione locale e regionale (32%), i prodotti Dop e Igp (16%) ed i semilavorati (insaccati, sughi, conserve, ecc.,12%). Mentre tra le categorie contraffatte il primato negativo spetta ai formaggi Dop. Per non parlare poi dei kit che vengono venduti per preparare il Parmigiano, o il vino in polvere che viene confezionato in Canada e che promette di ricreare in poche settimane un perfetto Barolo.

a cura dell’ avv. Fedele e della Dott.ssa Mazzola

L’importanza della denuncia

Negli ultimi anni la cronaca è satura di episodi di violenza, soprattutto in danno di donne e di minori. La violenza, domestica e non, è all’ordine del giorno, vuoi perché violenza genera violenza, vuoi perché appare sempre più semplice sopraffare chi, fisicamente, appare più debole.
In situazioni così delicate ed allo stesso tempo pericolose, è necessario comprendere e far comprendere, come la legge intervenga a tutela delle vittime di simili angherie.
In vero, in ipotesi di tal fatta, le sofferenze e i dubbi di chi subisce o ha subito violenza sono acuite ancor più da quel rapporto di dipendenza psicologica e/o economica che unisce le vittime al proprio carnefice. Solo in tale ottica può comprendersi l’importanza della denuncia, per sostenere chi, non più solo, riesce a recidere quel filo di soggezione, tornando ad una nuova vita.
In tale percorso, tutt’altro che breve e semplice, il nostro ordinamento predispone particolari strumenti di tutela.
Si pensi all’audizione protetta della persona offesa, sia nella fase delle indagini preliminari che in quelle processuali successive. Si pensi, altresì, alla possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale, al fine di veder ristorati,per quanto possibile, i danni sofferti.
Inoltre, per combattere ancor più tenacemente il fenomeno della violenza di genere, con il D.L.93/13 convertito in L.119/13, il legislatore ha esteso l’ammissione al Patrocinio a spese dello Stato, senza limiti reddituali, alle vittime dei reati di maltrattamenti in famiglia (art.572 c.p.) di atti persecutori (c.d.”stalking”-art.612 bis c.p.) e di mutilazione degli organi genitali femminili (art.583 bis c.p.).
In tal modo, la tutela giudiziale e stragiudiziale è apprezzata in forma estesa, senza limiti di sorta, in ossequio al dettato costituzionale e comunitario.
Allo stesso modo è prevista la possibilità per gli stranieri vittime di reati di violenza domestica, commessi nel territorio dello Stato italiano, di ottenere uno specifico permesso di soggiorno (art.18 bis D.Lgs.286/98).
Si tratta di pochi esempi, che tuttavia possono aiutare ed accompagnare la vittima nel cammino che va dalla denuncia alla rinascita.

a cura dell’ avv. Concetta Chiricone