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La vittima del reato ed il mero danneggiato

Il codice di procedura penale, pur prevedendo una dettagliata normativa in riferimento ai poteri attribuiti alla persona offesa dal reato, non ne offre una definizione. La stessa può comunque essere identificata con il soggetto che subisce il danno al bene giuridico protetto dalla norma penale a causa della aggressione posta in essere dall’autore del reato. Nel caso di nostra spettanza colui che materialmente subisce l’estorsione con conseguente danno patrimoniale e non patrimoniale economicamente valutabile.
Diverso è il concetto di persona danneggiata dal reato. Lo stesso coincide con chiunque debba sopportare un pregiudizio di natura patrimoniale o non patrimoniale, ma sempre economicamente apprezzabile, in ragione del fatto reato altrui.
E’ stato così creato un sistema in cui convivono la persona offesa ed il danneggiato da reato con diversi poteri e diritti in considerazione anche della fase procedimentale o processuale in cui ci si trova. Il mero danneggiato dal reato (per intenderci l’associazione antiracket o il Comune) avrà diritto ad agire e diverrà formalmente parte del processo solo a seguito della costituzione in giudizio.
La persona offesa al contrario, diverrà anch’essa parte processuale solo con la costituzione in giudizio, ma alla stessa sono attribuite tutta una serie di diritti e facoltà durante la fase delle indagini preliminari fino alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare – avviso cui il danneggiato dal reato non ha diritto.
In tal senso il diritto alla costituzione di parte civile all’interno del processo penale è riconosciuto ai sensi dell’art. 74 c.p.p. al soggetto danneggiato dal reato in tal modo ricomprendendo in tale categoria sia la persona offesa dal reato in senso tecnico che il danneggiato in senso lato. Certamente il codice, pur riconoscendo ad entrambi la facoltà di costituirsi parte civile ne attua una diversa regolamentazione dei poteri procedimentali essendo nel soggetto persona offesa dal reato indiscutibilmente presente l’interesse del privato alla persecuzione penale del reo.
Basti pensare all’obbligo sussistente in capo all’Ufficio del Pubblico Ministero ai sensi del combinato disposto dell’art 369 c.p.p., che prevede la notifica della informazione di garanzia anche alla persona offesa dal reato e dell’art. 417 lett. a c.p.p. che prevede come requisito della richiesta di rinvio a giudizio l’indicazione delle generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l’identificazione. Poteri non riconosciuti al mero danneggiato dal reato essendo lo stesso non definibile aprioristicamente in considerazione delle diverse tipologie di reati.
E’ proprio infatti in considerazione dei reati oggetto del presente lavoro che assume una particolare rilevanza questa distinzione. Il reato di estorsione, commesso ai danni di un imprenditore e con le finalità di agevolare una associazione a delinquere di stampo camorristico, vedrà quale persona offesa in senso tecnico l’imprenditore, il commerciante che è materialmente considerata la vittima del reato. Contestualmente creerà un danno alle attività commerciali ed all’immagine della città facendo sorgere un diritto al risarcimento del danno agli enti territoriali Comune, Provincia e Regione nonché alle Associazioni Antiracket, enti privati seppur dotati di un riconoscimento pubblico attraverso l’avallo prefettizio.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Le istituzioni e la società civile

Un sistema così compiutamente organizzato e strutturato come l’associazionismo antiracket, le cui basi sono indiscutibilmente state gettate nel corso degli ultimi dieci anni, deve trovare la giusta strada per far risvegliare le coscienze civili oramai sopite, unica strada per una reale rinascita delle nostre terre.
Il sistema legislativo, seppur ancora non perfettamente oliato esiste e necessità di un sempre più forte coordinamento a livello istituzionale essendo strutturato a partire dalle leggi 108/96 e 44/99 istitutive dei fondi di solidarietà ed assistenza alle vittime del racket e dell’usura, cui fanno seguito la L.512 del 1999 e la L.575 del 1965 in tema vittime della mafia e confisca dei beni e misure di prevenzione a carico di mafiosi o presunti tali.
E’ proprio in riferimento alla cit. L.512 del 1999, istitutiva del Comitato di Solidarietà delle Vittime dei reati di tipo mafioso, che rileva quale segno di alta civiltà giuridica, l’impegno che lo Stato assume, in proprio, di risarcire materialmente le vittime di tali reati riservandosi la possibilità di agire sul patrimonio mafioso per la reintegra di quanto pagato, magari incentivando l’uso dei beni confiscati. La vittima del reato non è così posta assurda condizione di dover richiedere il pagamento di quanto liquidato dal giudice con la sentenza di condanna agli esponenti dei sodali camorristici contro cui si è già faticosamente opposta nel corso del procedimento. Punto dolente del su citato meccanismo si sostanzia ad oggi esclusivamente di una eccessiva burocratizzazione dello stesso in questa sede auspicandosene una maggiore celerità nella valutazione e liquidazione delle istanze.
In conclusione l’auspicio è che attraverso un sempre maggior coordinamento tra Istituzioni e Società civile, nonché attraverso una revisione in senso critico e migliorativo dei meccanismi legislativi tesi alla gestione dei beni oggetto di confisca alle mafie ed al risarcimento economico e non solo delle vittime stesse, cresca il numero di imprenditori e comuni cittadini che decidano di denunciare ogni forma di intimidazione ed oppressione esercitata dalla mafia sul territorio poiché questa vive del silenzio e nel silenzio della costante intimidazione.
E’ così che attraverso la denuncia e la rete di assistenza creata da associazioni antiracket operanti sul territorio e società civile, forti della costante presenza dello Stato, interi sodali camorristici hanno visto confiscati i propri beni provento di reato. Reimmessi nel circuito legale potranno essere reimpiegati per contrastare realmente la criminalità organizzata attraverso attività di prevenzione e repressione nonché garantire in tempo reale un totale e doveroso risarcimento del danno alle vittime della mafia.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Il progetto Gestio

Nell’ambito delle attività poste in essere nel corso degli ultimi dieci anni dai professionisti aderenti alla rete di Rete Legale Etica, si presenta una proposta di impostazione operativa in un settore strettamente connesso alle azioni poste in essere dalla Rete a sostegno di cittadini, imprenditori e più in generale della libertà di iniziativa economica privata dal crimine organizzato.
La rete non vuole essere un collettore, una lobby, un canale di intermediazione clientelare ma semplicemente contribuire a creare e gestire dei parametri professionali, ma soprattutto etici e morali, cui uniformare la condotta dei professionisti aderenti nell’espletamento delle funzioni caratterizzanti gli incarichi professionali in tema di gestione di beni sottratti al crimine organizzato, incarichi che vengono acquisiti a titolo personale senza alcuna corresponsione di commissioni o compensi da parte della Rete.
Rete Legale Etica allora, attraverso la creazione di meccanismi di controllo e di adesione del professionista, si pone come garante della condotta etica, morale e strettamente operativa dello stesso restando insindacabili le condizioni poste a fondamento del permanere dei requisiti del professionista.
Rete Legale Etica nel corso degli ultimi dieci anni ha contribuito attivamente attraverso i suoi professionisti alla nascita ed allo sviluppo dell’intero movimento antiracket ed antiusura partenopeo assistendo decine di vittime ed enti in ambito giudiziario, stipulando numerosi protocolli con enti di prestigio come ad esempio il Comune di Napoli, sostenendo campagne attraverso il proprio portale sulle tematiche dell’educazione alimentare in campo minorile e contrasto alle agromafie senza mai venir meno al rispetto dei suoi principi e regole fondanti e del Codice Etico della rete
La tematica su cui la Rete si confronta oggi è quella della gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata e lo fa attraverso il suo Progetto “Gestio” attraverso cui la rete si pone come anello di congiunzione, tra il caos normativo e prassi giudiziali, ed il suo pool di professionisti, avvocati, commercialisti e tecnici al fine di consentire una gestione dei beni sottratti al crimine organizzato non solo corretta sul piano procedurale ma eticamente orientata alla salvaguardia del bene ed alla rottura da schemi e logiche clientelari che ne hanno in parte viziato il percorso di riconversione del bene stesso dal circuito illegale alla restituzione alla collettività e per la collettività.
Di sotto una prooposta di impostazione operativa con le potenzialità che la rete potrebbe porre in campo a sostegno del progetto “Gestio”: professionisti, studi professionali di riferimento aderenti, curricula professionali e sedi operative.

a cura dell’ avv. Motta e dell’ avv. Nello