Archivi tag: reati agroalimentari

I reati agroalimentari

Da un punto di vista statistico, circa un terzo dei reati contro i consumatori si consumano nell’ambito del commercio di prodotti agroalimentari.
La distribuzione geografica della relativa casistica sull’intero territorio nazionale appare tutt’altro che omogenea, essendo concentrata in alcune aree, precisamente quelle con una storia imprenditoriale in questo settore merceologico oppure quelle in cui la spesa alimentare incide sul reddito familiare in misura percentualmente più rilevante.
Esemplare, in tal senso, è il caso del circondario del Tribunale di Nocera Inferiore (SA), nel quale si manifestano entrambe le sintomatologie sopra citate, a cominciare dalla storica presenza delle aziende della filiera di quello che un tempo veniva definito “oro rosso” (il pomodoro).
Oltre al potenziale intreccio eziologico, i reati in materia agroalimentare presentano un costante intreccio tra due diritti collettivi violati:
1. quello alla salute, che è un diritto costituzionale (art. 32);
2. quello alla sicurezza e qualità dei prodotti, che è un diritto commerciale (art. 2, comma 2°, codice del consumo).
A ben vedere, sono danneggiati anche altri diritti commerciali collettivi, riconosciuti dal citato art. 2, comma 2°, tra i quali quelli all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà e alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali.
La circostanza che tale tipologia di reati leda un diritto addirittura costituzionale (sostanzialmente fuso nelle fattispecie con un diritto di rango inferiore), determina una importante conseguenza pratica: i reati che si consumano nell’ambito del commercio di prodotti agroalimentari sono i reati più dannosi per i consumatori.
La casistica sui reati in materia di prodotti agroalimentari, oltre ad essere quantitativamente consistente, è anche qualitativamente eterogenea, investendo un’ampia classe di reati, a partire proprio da quello che abbiamo citato all’inizio del nostro viaggio nel mondo dei reati contro i consumatori: la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione igienico-sanitario (Legge 30 aprile 1962, n. 283, articoli 5 e 6).
Il signor P.V., per esempio, commise tale reato, perché esercitava la professione di panificatore senza alcuna autorizzazione e, per giunta, utilizzando legna rivestita di vernice come combustibile per il suo forno; il Tribunale di Napoli, Sezione I Penale, G.M. dottor Di Marzio, con la sentenza del 7 gennaio 2010, lo ha condannato (anche) a risarcire i danni all’associazione di consumatori X, costituitasi parte civile.
Possiamo dunque affermare che quel reato, previsto e punito da una legge del 1962, soltanto dal 2010 è stato riconosciuto come reato contro i consumatori.
Peraltro, statisticamente nella maggior parte dei casi quel reato viene punito (non attraverso un processo, ma) attraverso un decreto penale di condanna (art. 459 e ss. c.p.p.), nel quale, com’è noto, non esiste condanna civile.
Vediamo più precisamente cosa accade in pratica, proprio partendo dall’esempio citato.
Come tutti i panificatori, autorizzati o abusivi, il signor P.V. lavorava di notte, ma, a differenza di quelli in regola con la legge, il suo forno produceva un tale inquinamento, acustico e ambientale (quest’ultimo tramite il camino), da aver provocato la reazione di alcuni cittadini, residenti nella zona, i quali avevano allertato i Carabinieri; quest’ultimi, intervenuti attraverso il reparto NAS, avevano denunciato P.V. e, successivamente, assunto la veste di testimoni nel processo.
In questo caso, la notizia di reato è stata la denuncia dei Carabinieri, ma esistono anche altre fonti che denunciano – più o meno quotidianamente – violazioni della Legge 283/62: la Polizia municipale (o comunque locale) e gli ispettori delle Aziende Sanitarie Locali.
Una volta registrate nelle Procure, queste notizie di reato possono imboccare due strade alternative: il decreto penale di condanna oppure la citazione diretta (art. 555 c.p.p.).
Si determina, così, una situazione paradossale, perché lo stesso reato nel primo caso non può mai essere considerato un reato contro i consumatori, mentre nel secondo caso lo può diventare, ma solo a condizione che nel processo si costituisca parte civile un’associazione di consumatori.
Peraltro, una parte della giurisprudenza considera quello un reato di pericolo e non un reato di danno, come se il sequestro fosse effettuato all’atto dell’inaugurazione dell’esercizio commerciale e non, come avviene effettivamente e almeno di regola, dopo che il commerciante ha già provveduto a vendere prodotti in cattivo stato di conservazione a ignari consumatori, nei confronti dei quali il danno emergerà dopo l’assunzione del prodotto (consideriamola, questa, una presunzione iuris et de iure) .
Come che sia, sottraendo la “tara”, cioè calcolando i soli casi in cui vi sia stata citazione diretta, s’impongono due considerazioni:
1. da un punto di vista quantitativo, questi casi sono comunque numerosi;
2. da un punto di vista qualitativo, nell’ambito della categoria dei reati in materia di commercio di prodotti agroalimentari, questi processi non sono quelli più significativi.
I processi più significativi, infatti, possono essere classificati in due categorie:
1. quelli sulla “sicurezza alimentare” (tra i quali rientrano anche i reati previsti e puniti dalla Legge 283/62), nei quali sia contestata l’associazione a delinquere (reato che non viene mai contestato con riferimento alla legge 283/62, trattandosi di violazioni commesse dalle singole persone denunciate);
2. quelli sulla “agropirateria” (italian sounding).
Nell’ambito della prima sotto-categoria, vengono in considerazione, innanzitutto e per esempio, i due maxi-processi sulla “carne infetta”.
Tra il mese di marzo del 2001 e il mese di gennaio del 2003 , i NAS dei Carabinieri, anche su delega del Ministero della Salute, condussero una vasta indagine, denominata Operazione Meat Guarantor (“Il garante della carne”) , nota all’opinione pubblica non soltanto attraverso la stampa quotidiana ma anche attraverso la letteratura .
L’indagine venne divisa in due tronconi, di competenza – rispettivamente – delle Procure di Nola (NA) e Nocera Inferiore (SA) , sfociando poi in due distinti processi a carico complessivamente di 117 imputati (73 a Nola e 44 a Nocera Inferiore), tra allevatori, macellai e medici veterinari pubblici, molti dei quali settentrionali .
Pur non essendo questa la sede per illustrare dettagliatamente o anche solo riassumere i numerosi capi d’imputazione, ci limitiamo a elencare i reati contestati agli imputati: articoli 416, commi 1°, 2° e 5°, associazione a delinquere finalizzata a commettere i reati di cui agli articoli 314, 323, 326, 328, 334, 348, 349, 378, 440, 444, 476, 479, 482, 483, 484, 485, 500, 515, 516, 648 e 648 bis, c.p.
Ciascuno dei reati testé elencati, può essere considerato un reato contro i consumatori e, nelle fattispecie, tutti questi reati sono stati considerati tali dai Tribunali di Nola e Nocera Inferiore, a seguito della costituzione di parte civile di un’associazione di consumatori.
Se per alcuni di questi reati l’inquadramento come reati contro i consumatori appare facilmente comprensibile o quantomeno intuibile (ci riferiamo, evidentemente, agli articoli 440 , 444, 500, 515 e 516 c.p.), per altri reati l’inquadramento può apparire sorprendente o, addirittura, eccentrico.
Pensiamo, ad esempio, al reato di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 479 c.p.), contestato a molti imputati nei due processi citati, i quali, nella loro veste di veterinari dipendenti di Aziende Sanitarie Locali (dunque pubblici ufficiali), nell’esercizio delle loro funzioni ispettive avevano falsificato (questa era l’accusa) la documentazione accompagnatoria dei bovini nella parte relativa alle attestazioni sanitarie, attestando, in pratica, che capi di bestiame destinati alla macellazione (dunque al consumo umano) erano sani, quando, in realtà, erano malati.
Trattasi – certo – di reato contro la fede pubblica, ma quest’ultima non è un concetto astratto, una sorta di Moloch da intendersi esclusivamente come sinonimo di Stato.
Quel reato, commesso da quei soggetti attivi e con quelle modalità, certamente si concretizza in un tradimento rispetto al datore di lavoro, ma quest’ultimo non è il principale soggetto danneggiato, perché il danno, alla salute e commerciale, colpisce proprio e principalmente i consumatori (di carne bovina).
In definitiva, quello è un reato contro i consumatori.
Naturalmente, questi due processi sulla carne infetta non sono stati gli unici processi penali relativi ad associazioni a delinquere finalizzate a commettere reati in danno della sicurezza alimentare e, in definitiva, in danno dei consumatori.
Tra gli altri processi, citiamo, ad esempio, quello del burro adulterato (Tribunale di Nocera Inferiore), quello dell’olio d’oliva adulterato (perché venduto come extravergine ma, in realtà, ottenuto con oli di semi: Tribunale di Vallo della Lucania) e quello dell’importazione dalla Spagna di suini malati destinati alla macellazione per il consumo umano (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere).
Un caso assimilabile a quelli appena citati, benché non sia stata contestata ai numerosi imputati (29) l’associazione a delinquere ma soltanto il commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.), peraltro in forma concorrente (art. 110 c.p.), è il processo dei “cozzicari”: pescatori e pescivendoli, i quali, rispettivamente, pescavano (nelle inquinate acque marine antistanti il porto di Torre Annunziata) e “detenevano per il commercio ovvero distribuivano per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, nelle specie mitili di vario genere (ostriche, casolare, vongole, tartufi ed in particolare cozze)” non stabulati, cioè non depurati “e così pericolosi per la salute pubblica”.
Il Tribunale di Nola, G.M. Dott.ssa Bilosi,con la sentenza 13 dicembre 2005, n. 1775, confermata da Corte d’Appello di Napoli, Sezione VII, 7 aprile 2008, n. 2853, ha affrontato il caso di cinque tedeschi, tra componenti del consiglio di amministrazione di una società e dirigenti della stessa, che avevano venduto a un caseificio di San Giuseppe Vesuviano (NA) una partita di latte contenente dosi eccessive di furosina, tali da determinare un effetto di “stracchinamento”: in pratica, il fiordilatte prodotto da quel caseificio con quel latte, una volta venduto a varie pizzerie si trasformava in granuli di ricotta non commestibili.
Questo caso di commercio di latte non genuino come genuino (articolo 516 c.p.), merita una citazione a parte, non soltanto perché agli imputati era stata contestata anche la truffa (tedeschi che truffano napoletani, in barba ai luoghi comuni), ma perché l’associazione di consumatori X era intervenuta ad adiuvandum rispetto ai querelanti (i titolari del caseificio), previo consenso scritto di quelle parti civili nel quale si dichiarava, come poi è stato confermato dalle emergenze dibattimentali, che i consumatori (clienti delle pizzerie, a loro volta clienti del caseificio) erano stati danneggiati dalle condotte degli imputati, quantomeno limitatamente all’art. 516 c.p.
Per quanto riguarda, invece, l’agropirateria, il primo riferimento normativo è il Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio dell’Unione Europea, emanato il 20 marzo del 2006 e pubblicato sulla GUCE del 31 marzo 2006, “relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari” (IGP e DOP), il cui articolo 13 specifica le finalità di tutela dei prodotti agricoli e alimentari (sui quali si veda anche il contestuale Regolamento n. 509).
Il commercio di aliud pro alio, punito in forma generale dagli artt. 515, 517 e 517 bis c.p., nel settore alimentare è punito in forma specifica dall’art. 517 quater c.p., introdotto dalla Legge 23 luglio 2009, n. 99, art. 15, comma 1, lett. e), proprio per proteggere quei prodotti alimentari – molto numerosi in Italia – garantiti ai consumatori con IGP (indicazioni geografiche protette) e DOP (denominazioni d’origine protette).
La casistica in materia è piuttosto significativa, soprattutto nella fase di transizione dalla tutela generale a quella specifica.
Ad esempio, possiamo citare il caso del “Provolone del Monaco”, un formaggio tipico della Penisola sorrentina, che gode del riconoscimento di denominazione di origine protetta (DOP), giusto Decreto di Protezione Transitoria dell’11/7/2005 e con marchio registrato all’Ufficio Italiano Brevetti.
Il 27 giugno del 2008, dunque prima dell’entrata in vigore dell’art. 517 quater c.p., in un supermercato di Napoli personale del Corpo Forestale dello Stato sequestrò un certo quantitativo di provolone “generico” venduto come Provolone del Monaco, denunciando un commerciante.
Nel successivo processo, il Tribunale di Napoli, Prima Sezione Penale, G.M. dottor Lomonte, dopo aver ammesso la costituzione di parte civile dell’associazione di consumatori Y, così sentenziò: “L’ipotesi criminosa in contestazione si caratterizza per essere un reato di pericolo ad incertam personam che si consuma allorché vengano messi in circolazione prodotti che traggano in inganno il consumatore. L’interesse tutelato, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, è sia l’ordine economico che la lealtà dei rapporti commerciali (cfr. Cass. 7 agosto 1996, Pagano, e ss. conformi)” (sentenza 10 maggio 2011, n. 6936, depositata il 31 maggio).
I reati contestati erano gli articoli 517 e 517 bis c.p.; se il sequestro fosse stato effettuato dopo l’entrata in vigore dell’art. 517 quater, sarebbe stato contestato proprio questo reato, che – invece – è contestato nell’indagine relativa al sequestro nel porto di Salerno di 385 tonnellate di falso pomodoro San Marzano.

a cura dell’ avv. Agostino La Rana