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Assistenza giudiziale alle vittime di estorsione

La necessità di una adeguata assistenza alla vittima di estorsione
Rilevanza penale della denuncia

Ventiquattro aprile duemilasette – aula dibattimento presso il Tribunale di Napoli – è in corso l’audizione di un imprenditore difeso e rappresentato da un avvocato antiracket la cui attività professionale è prestata prevalentemente in favore di soggetti vittime di reati quali usura, estorsione e concussione. Costituite parti civili accanto all’imprenditore e rappresentate dal medesimo legale il Coordinamento Napoletano delle Associazioni Antiracket e la FAI.
L’imprenditore ha avuto il coraggio di denunciare i suoi estorsori mettendo così a nudo oltre dieci anni di soprusi ed angherie che hanno portato la sua impresa sull’orlo del fallimento. Oggi i suoi estorsori sono presenti in aula ed ascoltano l’esame dell’imprenditore condotto dal Pubblico Ministero:

PM – sempre in quel periodo grossomodo, nel ’00, ’01 la sua azienda aveva ulteriori cantieri a via … e Piazza …?
DICH – Si.
PM – di che tipo di lavoro si trattava?
DICH – Fabbricati.
PM – lei anche per questi lavori ha denunciato di aver avuto richieste di denaro, vuole raccontare al Tribunale di che tipo di richieste si trattava e da parte di chi le ha ricevute?
DICH – La stessa cosa di sempre – non mi ero presentato a chi di dovere, non conoscevo nessuno, io stavo prendendo un gelato al bar cavallo a Piazza …… dove lavoravo venne uno alle spalle e disse: “adesso ti dovrei sparare nelle gambe”, “perché cosa ho fatto?”, perché non vi siete presentati a chi di dovere”, ma a chi mi devo presentare? Dove devo andare? Chi sono?qua vengono tanta gente che cercano qualcosa”. Dissero: “adesso va da quella persona che sta nel giardinetto a pochi metri, lui ti accompagna dove devi andare”, “ e mi portarono…”
PM – con quante persone lei si incontrò?
DICH – uno stava ai giardinetti ed uno stava più distante nelle macchine, “vieni con noi, ti portiamo noi” – “ma dove?” – “non ti preoccupare” – allora vengo con la mia macchina?” – “Si fai bene” – e sono andato a …, verso …, ho sostato la macchina e mi hanno fatto salire a casa in un palazzo…
PM – le dissero dove la stavano conducendo?
DICH – ho visto il palazzo
PM – loro le dissero dove la stavano portando?
DICH – Io camminavo dietro con la macchina e loro camminavano con la macchina avanti e un altro indietro. Mi portavano in un palazzo …
PM – ma lei non chiese dove stiamo andando?
DICH – loro mi dissero che mi portavano da chi dovevamo parlare per la situazione.
PM – chi era questa persona da cui dovevate andare a parlare?
DICH – quando sono entrato nel palazzo, ho visto una persona alta, snella con i capelli lunghi che si chiamava, lo chiamavano di soprannome … e poi dopo, domandando, mi disse che si chiamava …
PM – lei riconobbe in fotografia questa persona?
DICH – Si anche dai Carabinieri
PM – che cosa accadde durante quest’incontro?
DICH – “Accomodati, so che sei un bravo ragazzo…so che stai facendo un lavoro qua e là”
PM – a quale lavoro fece riferimento?
DICH – Via … e P.zza …, a … sempre. Devi pagare, mi avete fatto fare tutte queste cose, mi volete sparare nelle gambe, perché si usa così, uno deve lavorare, lui disse: DICH – Si, continuai i lavori e in una settimana portai ed in un’altra settimana portai altri sei milioni.
PM – Dove li portò?
DICH – A casa sua in via …
PM – sarebbe in grado di riconoscere l’imputato oggi?
DICH – Si è il primo con gli occhiali.
PM – Lei poi ha denunciato analoghi episodi, in relazione ad un cantiere sito in via …
DICH – Si.
PM – Vuole dire al Tribunale che cosa accadde?
DICH – Venne un certo …, che non era il suo nome…
PM – Come si chiamava?
DICH – Si chiamava …
PM – Lei lo riconobbe anche in foto?
DICH – Si. Sta qua nella gabbia.
PM – Vuole indicare quali delle persone presenti nella gabbia corrisponde al Signor …?
DICH – E’ il terzo, uno due e tre.
PM – che tipo di lavoro stava svolgendo?
DICH – sempre intonacatura e pitturazione del palazzo
PM – a quanto ammontavano questi lavori?
DICH – a duecento e dispari milioni omissis
PM – a quest’incontro con queste tre persone lei si recò da solo?
DICH – stavo con mio figlio, io gli dissi di non venire, ma lui è venuto
PM – cosa accadde in questa occasione?
DICH – mi minacciarono
PM – con quali modalità e con che parole la minacciarono?
DICH – che dovevo pagare il Pizzo, perché sempre siamo della zona, non vi siete presentati. Io dissi che non mi presentavo a nessuno perché non sapevo dove presentarmi, mi dissero: Ci devi dare i soldi” mi fecero una richiesta di più di 10 milioni ed io dissi che ne potevo dare al massimo 5, così siamo rimasti a cinque milioni che portai la settimana dopo in contanti…
PM – in tutte queste occasioni in cui incontrò queste persone, le fu mai prospettato nel caso in cui si fosse rifiutato di pagare?
DICH – e come si può dottore
PM – cosa poteva accadere a lei o alla azienda?
DICH – Si, a me mi rubavano nell’azienda…
PM – non le sto chiedendo se rubavano, le sto chiedendo se da parte di queste persone le fu prospettata qualcosa in relazione alla eventualità che lei omettesse di consegnare queste somme di denaro?
DICH – Io consegnavo, io stavo male, perché poi ci dovevamo riprendere da questo episodio, dai soldi che pagavamo, perché alla fine del mese non c’erano soldi ed andavamo in banca a prendere soldi in prestito …
PM – Nel corso di questi incontri le fu richiesto di sospendere i lavori?
DICH – Prima di dare i soldi si, si perdeva una giornata di cinque o sei operai, tre o quattro di la ed erano milioni che si perdevano … purtroppo gli operai non lavoravano, a volte anche il giorno dopo perché avevano paura
PM – lei successivamente li riconobbe in fotografia?
DICH – Si.
PM – Sarebbe in grado di riconoscerli anche oggi in quest’aula?
DICH – Eccolo qua, con la maglia rosa
PM– come si chiama?
DICH – Si chiama…
AVV. ANTIRACKET– avete documentato in qualche modo questi pagamenti?
DICH – si ce li abbiamo tutti scritti dentro un libro paga … perché erano pagamenti tutti richiesti in contanti da loro e l’amministratore della società li iscriveva tutti quanti sul libro paga; questo libro paga ce l’ha il tribunale perché l’abbiamo consegnato ai Carabinieri…
AVV.ANTIRACKET – perché avete denunciato?
DICH – Quando alla fine del mese non arrivano i soldi per pagare e le banche non ti danno i prestiti … io non ho denunciato solo queste persone qua, ho denunciato una serie di persone cattive, per un ammontare di 250 milioni un po’ alla volta, pensate in tanti anni, dieci milioni alla volta, cinque milioni, non potevo andare in ferie, non avevo la macchina, non si poteva aggiustare niente, non si poteva fare un regalo perché uscivano milioni come niente fosse …
AVV. ANTIRACKET – dopo aver denunciato siete stati assistiti dall’associazione antiracket?
DICH – Si. Mi hanno assistito
AVV.ANTIRACKET – dopo aver denunciato avete subito episodi di ritorsione o minacce
DICH. – No. Assolutamente,

Riflessioni: ecco cosa significa denunciare il racket ed assistere in giudizio le vittime.
La prima cosa che impressiona, alla lettura di queste semplici battute, è la lucidità e la determinazione dell’imprenditore, seppur decisamente oltre la soglia dei settanta anni: analitica descrizione dei fatti e dettagliata individuazione in aula degli autori dei singoli episodi delittuosi.
L’imprenditore della nostra storia, ha in tal modo contribuito in modo rilevante ad assicurare alla giustizia con conseguente condanna alle pene di legge previste per i reati di estorsione aggravata finalizzata ad agevolare l’associazione camorristica di appartenenza, oltre 20 imputati. Il tutto semplicemente attraverso la denuncia operata presso il Comando dei Carabinieri, ma soprattutto attraverso la conferma delle dichiarazioni rese nell’aula del Tribunale.
Lo stesso imprenditore oggi ha smesso di “mettersi a posto con i clan” e tramite la consulenza delle associazioni antiracket stesse ha avuto accesso ai benefici di cui alla legge n°44 del 1999 nonché richiesto al Fondo di rotazione per le vittime della mafia di cui alla L.512 del 1999 il pagamento del risarcimento cui i suoi estorsori sono stati condannati.
Il rito ordinario, quello il cui stralcio delle dichiarazioni è stato su riportato al fine di far comprendere cosa significa – denunciare il racket – e cosa significa – assistere una vittima del racket, si è concluso con la condanna di tutti gli imputati a complessivi 120 anni di carcere nonché al risarcimento del danno patito dalla persona offesa con contestuale liquidazione di una provvisionale. Lo stesso dicasi per le associazioni antiracket costituite che hanno visto riconosciuto il danno richiesto.

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Esperienza di avanguardia

Una esperienza d’avanguardia
L’associazionismo antiracket sorto in Sicilia oltre venti anni fa, è nato e sperimentato in Campania solo da pochi anni, nuovi meccanismi, l’assistenza alle vittime di estorsione ed usura, una sempre farraginosa macchina burocratica che dovrebbe in tempo reale assicurare i risarcimenti alle vittime della mafia, fanno dell’associazionismo antiracket e del suo modo di opporsi fuori e dentro al processo una esperienza indiscutibilmente di avanguardia ed in aperto contrasto a consorterie criminali in possesso di enormi patrimoni.
Al contrario l’esperienza dell’associazionismo antiracket è ad oggi spesso legata a labili finanziamenti regionali, provinciali o comunali, che mettono in condizione gli operatori del settore di lavorare sempre in uno stato di continua precarietà in bilico tra militanza e volontariato, di certo al di sotto delle potenzialità che il fenomeno potrebbe esprimere e manifestare.
Decidere di assistere una vittima del racket, implica la necessità di possedere sul campo un forte consenso popolare. Il consenso si ottiene attraverso la creazioni di sedi, attraverso l’assunzione di personale, attraverso una continua campagna in favore della legalità, garantendo al contempo la sicurezza personale di vittime ed operatori. Questo richiede risorse economiche stabili. Due sono le alternative: la istituzionalizzazione delle associazioni antiracket o la possibilità per le stesse di ottenere con immediatezza dallo stato i risarcimenti riconosciuti dalle sentenze dei giudici di merito.
Tra mille difficoltà date dalla precarietà con cui sono spesso costrette a sopravvivere ad oggi ed in riferimento alla sola regione Campania questi sono i dati salienti della contrasto ad attività di estorsione ed usura – si tiene a precisare come i dati indicati siano relativi ai procedimenti di maggiore rilevanza ed a decorrere dal 01.01.05 – da consultare nella sezione I processi e la giurisprudenza

a cura dell’ avv. Alfredo Nello

Il progetto Gestio

Nell’ambito delle attività poste in essere nel corso degli ultimi dieci anni dai professionisti aderenti alla rete di Rete Legale Etica, si presenta una proposta di impostazione operativa in un settore strettamente connesso alle azioni poste in essere dalla Rete a sostegno di cittadini, imprenditori e più in generale della libertà di iniziativa economica privata dal crimine organizzato.
La rete non vuole essere un collettore, una lobby, un canale di intermediazione clientelare ma semplicemente contribuire a creare e gestire dei parametri professionali, ma soprattutto etici e morali, cui uniformare la condotta dei professionisti aderenti nell’espletamento delle funzioni caratterizzanti gli incarichi professionali in tema di gestione di beni sottratti al crimine organizzato, incarichi che vengono acquisiti a titolo personale senza alcuna corresponsione di commissioni o compensi da parte della Rete.
Rete Legale Etica allora, attraverso la creazione di meccanismi di controllo e di adesione del professionista, si pone come garante della condotta etica, morale e strettamente operativa dello stesso restando insindacabili le condizioni poste a fondamento del permanere dei requisiti del professionista.
Rete Legale Etica nel corso degli ultimi dieci anni ha contribuito attivamente attraverso i suoi professionisti alla nascita ed allo sviluppo dell’intero movimento antiracket ed antiusura partenopeo assistendo decine di vittime ed enti in ambito giudiziario, stipulando numerosi protocolli con enti di prestigio come ad esempio il Comune di Napoli, sostenendo campagne attraverso il proprio portale sulle tematiche dell’educazione alimentare in campo minorile e contrasto alle agromafie senza mai venir meno al rispetto dei suoi principi e regole fondanti e del Codice Etico della rete
La tematica su cui la Rete si confronta oggi è quella della gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata e lo fa attraverso il suo Progetto “Gestio” attraverso cui la rete si pone come anello di congiunzione, tra il caos normativo e prassi giudiziali, ed il suo pool di professionisti, avvocati, commercialisti e tecnici al fine di consentire una gestione dei beni sottratti al crimine organizzato non solo corretta sul piano procedurale ma eticamente orientata alla salvaguardia del bene ed alla rottura da schemi e logiche clientelari che ne hanno in parte viziato il percorso di riconversione del bene stesso dal circuito illegale alla restituzione alla collettività e per la collettività.
Di sotto una prooposta di impostazione operativa con le potenzialità che la rete potrebbe porre in campo a sostegno del progetto “Gestio”: professionisti, studi professionali di riferimento aderenti, curricula professionali e sedi operative.

a cura dell’ avv. Motta e dell’ avv. Nello

I reati agroalimentari

Da un punto di vista statistico, circa un terzo dei reati contro i consumatori si consumano nell’ambito del commercio di prodotti agroalimentari.
La distribuzione geografica della relativa casistica sull’intero territorio nazionale appare tutt’altro che omogenea, essendo concentrata in alcune aree, precisamente quelle con una storia imprenditoriale in questo settore merceologico oppure quelle in cui la spesa alimentare incide sul reddito familiare in misura percentualmente più rilevante.
Esemplare, in tal senso, è il caso del circondario del Tribunale di Nocera Inferiore (SA), nel quale si manifestano entrambe le sintomatologie sopra citate, a cominciare dalla storica presenza delle aziende della filiera di quello che un tempo veniva definito “oro rosso” (il pomodoro).
Oltre al potenziale intreccio eziologico, i reati in materia agroalimentare presentano un costante intreccio tra due diritti collettivi violati:
1. quello alla salute, che è un diritto costituzionale (art. 32);
2. quello alla sicurezza e qualità dei prodotti, che è un diritto commerciale (art. 2, comma 2°, codice del consumo).
A ben vedere, sono danneggiati anche altri diritti commerciali collettivi, riconosciuti dal citato art. 2, comma 2°, tra i quali quelli all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà e alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali.
La circostanza che tale tipologia di reati leda un diritto addirittura costituzionale (sostanzialmente fuso nelle fattispecie con un diritto di rango inferiore), determina una importante conseguenza pratica: i reati che si consumano nell’ambito del commercio di prodotti agroalimentari sono i reati più dannosi per i consumatori.
La casistica sui reati in materia di prodotti agroalimentari, oltre ad essere quantitativamente consistente, è anche qualitativamente eterogenea, investendo un’ampia classe di reati, a partire proprio da quello che abbiamo citato all’inizio del nostro viaggio nel mondo dei reati contro i consumatori: la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione igienico-sanitario (Legge 30 aprile 1962, n. 283, articoli 5 e 6).
Il signor P.V., per esempio, commise tale reato, perché esercitava la professione di panificatore senza alcuna autorizzazione e, per giunta, utilizzando legna rivestita di vernice come combustibile per il suo forno; il Tribunale di Napoli, Sezione I Penale, G.M. dottor Di Marzio, con la sentenza del 7 gennaio 2010, lo ha condannato (anche) a risarcire i danni all’associazione di consumatori X, costituitasi parte civile.
Possiamo dunque affermare che quel reato, previsto e punito da una legge del 1962, soltanto dal 2010 è stato riconosciuto come reato contro i consumatori.
Peraltro, statisticamente nella maggior parte dei casi quel reato viene punito (non attraverso un processo, ma) attraverso un decreto penale di condanna (art. 459 e ss. c.p.p.), nel quale, com’è noto, non esiste condanna civile.
Vediamo più precisamente cosa accade in pratica, proprio partendo dall’esempio citato.
Come tutti i panificatori, autorizzati o abusivi, il signor P.V. lavorava di notte, ma, a differenza di quelli in regola con la legge, il suo forno produceva un tale inquinamento, acustico e ambientale (quest’ultimo tramite il camino), da aver provocato la reazione di alcuni cittadini, residenti nella zona, i quali avevano allertato i Carabinieri; quest’ultimi, intervenuti attraverso il reparto NAS, avevano denunciato P.V. e, successivamente, assunto la veste di testimoni nel processo.
In questo caso, la notizia di reato è stata la denuncia dei Carabinieri, ma esistono anche altre fonti che denunciano – più o meno quotidianamente – violazioni della Legge 283/62: la Polizia municipale (o comunque locale) e gli ispettori delle Aziende Sanitarie Locali.
Una volta registrate nelle Procure, queste notizie di reato possono imboccare due strade alternative: il decreto penale di condanna oppure la citazione diretta (art. 555 c.p.p.).
Si determina, così, una situazione paradossale, perché lo stesso reato nel primo caso non può mai essere considerato un reato contro i consumatori, mentre nel secondo caso lo può diventare, ma solo a condizione che nel processo si costituisca parte civile un’associazione di consumatori.
Peraltro, una parte della giurisprudenza considera quello un reato di pericolo e non un reato di danno, come se il sequestro fosse effettuato all’atto dell’inaugurazione dell’esercizio commerciale e non, come avviene effettivamente e almeno di regola, dopo che il commerciante ha già provveduto a vendere prodotti in cattivo stato di conservazione a ignari consumatori, nei confronti dei quali il danno emergerà dopo l’assunzione del prodotto (consideriamola, questa, una presunzione iuris et de iure) .
Come che sia, sottraendo la “tara”, cioè calcolando i soli casi in cui vi sia stata citazione diretta, s’impongono due considerazioni:
1. da un punto di vista quantitativo, questi casi sono comunque numerosi;
2. da un punto di vista qualitativo, nell’ambito della categoria dei reati in materia di commercio di prodotti agroalimentari, questi processi non sono quelli più significativi.
I processi più significativi, infatti, possono essere classificati in due categorie:
1. quelli sulla “sicurezza alimentare” (tra i quali rientrano anche i reati previsti e puniti dalla Legge 283/62), nei quali sia contestata l’associazione a delinquere (reato che non viene mai contestato con riferimento alla legge 283/62, trattandosi di violazioni commesse dalle singole persone denunciate);
2. quelli sulla “agropirateria” (italian sounding).
Nell’ambito della prima sotto-categoria, vengono in considerazione, innanzitutto e per esempio, i due maxi-processi sulla “carne infetta”.
Tra il mese di marzo del 2001 e il mese di gennaio del 2003 , i NAS dei Carabinieri, anche su delega del Ministero della Salute, condussero una vasta indagine, denominata Operazione Meat Guarantor (“Il garante della carne”) , nota all’opinione pubblica non soltanto attraverso la stampa quotidiana ma anche attraverso la letteratura .
L’indagine venne divisa in due tronconi, di competenza – rispettivamente – delle Procure di Nola (NA) e Nocera Inferiore (SA) , sfociando poi in due distinti processi a carico complessivamente di 117 imputati (73 a Nola e 44 a Nocera Inferiore), tra allevatori, macellai e medici veterinari pubblici, molti dei quali settentrionali .
Pur non essendo questa la sede per illustrare dettagliatamente o anche solo riassumere i numerosi capi d’imputazione, ci limitiamo a elencare i reati contestati agli imputati: articoli 416, commi 1°, 2° e 5°, associazione a delinquere finalizzata a commettere i reati di cui agli articoli 314, 323, 326, 328, 334, 348, 349, 378, 440, 444, 476, 479, 482, 483, 484, 485, 500, 515, 516, 648 e 648 bis, c.p.
Ciascuno dei reati testé elencati, può essere considerato un reato contro i consumatori e, nelle fattispecie, tutti questi reati sono stati considerati tali dai Tribunali di Nola e Nocera Inferiore, a seguito della costituzione di parte civile di un’associazione di consumatori.
Se per alcuni di questi reati l’inquadramento come reati contro i consumatori appare facilmente comprensibile o quantomeno intuibile (ci riferiamo, evidentemente, agli articoli 440 , 444, 500, 515 e 516 c.p.), per altri reati l’inquadramento può apparire sorprendente o, addirittura, eccentrico.
Pensiamo, ad esempio, al reato di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 479 c.p.), contestato a molti imputati nei due processi citati, i quali, nella loro veste di veterinari dipendenti di Aziende Sanitarie Locali (dunque pubblici ufficiali), nell’esercizio delle loro funzioni ispettive avevano falsificato (questa era l’accusa) la documentazione accompagnatoria dei bovini nella parte relativa alle attestazioni sanitarie, attestando, in pratica, che capi di bestiame destinati alla macellazione (dunque al consumo umano) erano sani, quando, in realtà, erano malati.
Trattasi – certo – di reato contro la fede pubblica, ma quest’ultima non è un concetto astratto, una sorta di Moloch da intendersi esclusivamente come sinonimo di Stato.
Quel reato, commesso da quei soggetti attivi e con quelle modalità, certamente si concretizza in un tradimento rispetto al datore di lavoro, ma quest’ultimo non è il principale soggetto danneggiato, perché il danno, alla salute e commerciale, colpisce proprio e principalmente i consumatori (di carne bovina).
In definitiva, quello è un reato contro i consumatori.
Naturalmente, questi due processi sulla carne infetta non sono stati gli unici processi penali relativi ad associazioni a delinquere finalizzate a commettere reati in danno della sicurezza alimentare e, in definitiva, in danno dei consumatori.
Tra gli altri processi, citiamo, ad esempio, quello del burro adulterato (Tribunale di Nocera Inferiore), quello dell’olio d’oliva adulterato (perché venduto come extravergine ma, in realtà, ottenuto con oli di semi: Tribunale di Vallo della Lucania) e quello dell’importazione dalla Spagna di suini malati destinati alla macellazione per il consumo umano (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere).
Un caso assimilabile a quelli appena citati, benché non sia stata contestata ai numerosi imputati (29) l’associazione a delinquere ma soltanto il commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.), peraltro in forma concorrente (art. 110 c.p.), è il processo dei “cozzicari”: pescatori e pescivendoli, i quali, rispettivamente, pescavano (nelle inquinate acque marine antistanti il porto di Torre Annunziata) e “detenevano per il commercio ovvero distribuivano per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, nelle specie mitili di vario genere (ostriche, casolare, vongole, tartufi ed in particolare cozze)” non stabulati, cioè non depurati “e così pericolosi per la salute pubblica”.
Il Tribunale di Nola, G.M. Dott.ssa Bilosi,con la sentenza 13 dicembre 2005, n. 1775, confermata da Corte d’Appello di Napoli, Sezione VII, 7 aprile 2008, n. 2853, ha affrontato il caso di cinque tedeschi, tra componenti del consiglio di amministrazione di una società e dirigenti della stessa, che avevano venduto a un caseificio di San Giuseppe Vesuviano (NA) una partita di latte contenente dosi eccessive di furosina, tali da determinare un effetto di “stracchinamento”: in pratica, il fiordilatte prodotto da quel caseificio con quel latte, una volta venduto a varie pizzerie si trasformava in granuli di ricotta non commestibili.
Questo caso di commercio di latte non genuino come genuino (articolo 516 c.p.), merita una citazione a parte, non soltanto perché agli imputati era stata contestata anche la truffa (tedeschi che truffano napoletani, in barba ai luoghi comuni), ma perché l’associazione di consumatori X era intervenuta ad adiuvandum rispetto ai querelanti (i titolari del caseificio), previo consenso scritto di quelle parti civili nel quale si dichiarava, come poi è stato confermato dalle emergenze dibattimentali, che i consumatori (clienti delle pizzerie, a loro volta clienti del caseificio) erano stati danneggiati dalle condotte degli imputati, quantomeno limitatamente all’art. 516 c.p.
Per quanto riguarda, invece, l’agropirateria, il primo riferimento normativo è il Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio dell’Unione Europea, emanato il 20 marzo del 2006 e pubblicato sulla GUCE del 31 marzo 2006, “relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari” (IGP e DOP), il cui articolo 13 specifica le finalità di tutela dei prodotti agricoli e alimentari (sui quali si veda anche il contestuale Regolamento n. 509).
Il commercio di aliud pro alio, punito in forma generale dagli artt. 515, 517 e 517 bis c.p., nel settore alimentare è punito in forma specifica dall’art. 517 quater c.p., introdotto dalla Legge 23 luglio 2009, n. 99, art. 15, comma 1, lett. e), proprio per proteggere quei prodotti alimentari – molto numerosi in Italia – garantiti ai consumatori con IGP (indicazioni geografiche protette) e DOP (denominazioni d’origine protette).
La casistica in materia è piuttosto significativa, soprattutto nella fase di transizione dalla tutela generale a quella specifica.
Ad esempio, possiamo citare il caso del “Provolone del Monaco”, un formaggio tipico della Penisola sorrentina, che gode del riconoscimento di denominazione di origine protetta (DOP), giusto Decreto di Protezione Transitoria dell’11/7/2005 e con marchio registrato all’Ufficio Italiano Brevetti.
Il 27 giugno del 2008, dunque prima dell’entrata in vigore dell’art. 517 quater c.p., in un supermercato di Napoli personale del Corpo Forestale dello Stato sequestrò un certo quantitativo di provolone “generico” venduto come Provolone del Monaco, denunciando un commerciante.
Nel successivo processo, il Tribunale di Napoli, Prima Sezione Penale, G.M. dottor Lomonte, dopo aver ammesso la costituzione di parte civile dell’associazione di consumatori Y, così sentenziò: “L’ipotesi criminosa in contestazione si caratterizza per essere un reato di pericolo ad incertam personam che si consuma allorché vengano messi in circolazione prodotti che traggano in inganno il consumatore. L’interesse tutelato, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, è sia l’ordine economico che la lealtà dei rapporti commerciali (cfr. Cass. 7 agosto 1996, Pagano, e ss. conformi)” (sentenza 10 maggio 2011, n. 6936, depositata il 31 maggio).
I reati contestati erano gli articoli 517 e 517 bis c.p.; se il sequestro fosse stato effettuato dopo l’entrata in vigore dell’art. 517 quater, sarebbe stato contestato proprio questo reato, che – invece – è contestato nell’indagine relativa al sequestro nel porto di Salerno di 385 tonnellate di falso pomodoro San Marzano.

a cura dell’ avv. Agostino La Rana

L’importanza della denuncia

Negli ultimi anni la cronaca è satura di episodi di violenza, soprattutto in danno di donne e di minori. La violenza, domestica e non, è all’ordine del giorno, vuoi perché violenza genera violenza, vuoi perché appare sempre più semplice sopraffare chi, fisicamente, appare più debole.
In situazioni così delicate ed allo stesso tempo pericolose, è necessario comprendere e far comprendere, come la legge intervenga a tutela delle vittime di simili angherie.
In vero, in ipotesi di tal fatta, le sofferenze e i dubbi di chi subisce o ha subito violenza sono acuite ancor più da quel rapporto di dipendenza psicologica e/o economica che unisce le vittime al proprio carnefice. Solo in tale ottica può comprendersi l’importanza della denuncia, per sostenere chi, non più solo, riesce a recidere quel filo di soggezione, tornando ad una nuova vita.
In tale percorso, tutt’altro che breve e semplice, il nostro ordinamento predispone particolari strumenti di tutela.
Si pensi all’audizione protetta della persona offesa, sia nella fase delle indagini preliminari che in quelle processuali successive. Si pensi, altresì, alla possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale, al fine di veder ristorati,per quanto possibile, i danni sofferti.
Inoltre, per combattere ancor più tenacemente il fenomeno della violenza di genere, con il D.L.93/13 convertito in L.119/13, il legislatore ha esteso l’ammissione al Patrocinio a spese dello Stato, senza limiti reddituali, alle vittime dei reati di maltrattamenti in famiglia (art.572 c.p.) di atti persecutori (c.d.”stalking”-art.612 bis c.p.) e di mutilazione degli organi genitali femminili (art.583 bis c.p.).
In tal modo, la tutela giudiziale e stragiudiziale è apprezzata in forma estesa, senza limiti di sorta, in ossequio al dettato costituzionale e comunitario.
Allo stesso modo è prevista la possibilità per gli stranieri vittime di reati di violenza domestica, commessi nel territorio dello Stato italiano, di ottenere uno specifico permesso di soggiorno (art.18 bis D.Lgs.286/98).
Si tratta di pochi esempi, che tuttavia possono aiutare ed accompagnare la vittima nel cammino che va dalla denuncia alla rinascita.

a cura dell’ avv. Concetta Chiricone