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Il consenso informato

Nella recentissima sentenza della Suprema Corte, sentenza n. 20984 del 27/11/2012, nella quale viene efficacemente riassunta la disciplina in materia, si legge: “Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario. Senza il consenso informato l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente.
Il consenso informato ha come correlato la facoltà, non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche, nell’eventualità, di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla; e ciò in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale (v. per tutte Cass. 16.10.2007 n. 21748).
Secondo la definizione della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008, sub n. 4 del Considerato in diritto) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32
Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell’obbligo del consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all’adempimento dell’obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi – in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa – di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.
Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.
Ciò perchè, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. anche Cass. 28.7.2011 n. 16543).
In ordine alle modalità e caratteri del consenso, è stato affermato che il consenso deve essere, anzitutto, personale: deve, cioè provenire dal paziente, (ad esclusione evidentemente dei casi di incapacità di intendere e volere del paziente); deve poi essere specifico e esplicito (Cass. 23.5.2001 n. 7027); inoltre reale ed effettivo; ciò che vuoi significare che non è consentito il consenso presunto; ed, ancora, nei casi in cui ciò sia possibile, anche attuale (v. per le relative implicazioni Cass. 16.10.2007 n. 21748).
Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole, ossia deve essere “informato”, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico”.
Con riguardo a tale ultimo aspetto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di chiarire che, poiché il paziente deve essere messo concretamente in condizione di valutare ogni possibile rischio ed ogni alternativa, “nell’ambito degli interventi chirurgici, in particolare, il dovere di informazione concerne la portata dell’intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi, sì da porre il paziente in condizioni di decidere sull’opportunità di procedervi o di ometterlo, attraverso il bilanciamento di vantaggi e rischi. L’obbligo si
estende ai rischi prevedibili” (Cass. 364/1997), ma “Tendenzialmente anche gli esiti anomali o poco probabili – se noti alla scienza medica e non del tutto abnormi – debbono essere comunicati, sì che il malato possa consapevolmente decidere se correre i rischi della cura o sopportare la malattia, soprattutto nei casi in cui non si tratti di operazione indispensabile per la sopravvivenza”, giacchè l’informazione offerta al paziente “deve essere completa ed includere non solo la descrizione della cura o dell’intervento a cui il malato verrà sottoposto, ma anche quella delle complicazioni che – pur senza colpa dei sanitari – potrebbero derivarne” (Cass. 2483/2010, relativa ad intervento di artoprotesi d’anca cui conseguiva lesione del nervo femorale).
Quest’ultima sentenza, peraltro, riprende altro principio consolidato in giurisprudenza, secondo cui, se da un lato l’informazione al paziente può essere data con ogni mezzo, non essendo richiesta la forma scritta (pur sempre auspicabile), dall’altro lato, tuttavia, “la completa e corretta informazione non è un dato che possa desumersi dalla mera sottoscrizione di un modulo del tutto generico (Cass. civ. Sez. 3, 8 ottobre 2008 n. 24791).
Il medico (e la struttura sanitaria nell’ambito della quale egli agisce) debbono invece fornire, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente acquisite sulle terapie che si vogliono praticare, o sull’intervento chirurgico che si intende eseguire, illustrandone le modalità e gli effetti, i rischi di insuccesso, gli eventuali inconvenienti collaterali, ecc. (Cass. civ. Sez. 3, 2 luglio 2010 n. 15698).
In caso di contestazione, grava sul medico l’onere della prova di avere fornito tutte le informazioni del caso (Cass. civ., Sez. 3, 9 febbraio 2010 n. 2847)” costituendo l’obbligo di informare correttamente ed esaustivamente il paziente un aspetto dell’obbligazione sanitaria, la cui
natura contrattuale è già stata ampiamente illustrata poc’anzi.
Quindi, dall’omissione del dovere di informazione del paziente circa i trattamenti sanitari, discendono:
– la violazione dell’obbligo contrattuale che lega il medico al paziente;
– l’illegittimità del trattamento sanitario eseguito, per violazione dell’art. 32 Cost., comma 2, (in base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), dell’art. 13 Cost., (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica) e della L. n. 833 del 1978, art. 33, (che esclude la possibilità, d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.);
– la lesione dei diritti essenziali della persona alla libera autodeterminazione ed alla volontarietà del trattamento sanitario, diritti costituzionalmente tutelati.
Ne consegue che, in caso di omessa informazione, il medico (e la struttura sanitaria) rispondono
a) sia della lesione al cd. “diritto alla libera autodeterminazione del paziente” in relazione ai trattamenti sanitari, costituente diritto autonomo, la cui violazione costituisce voce specifica di danno, con conseguente quantificazione risarcitoria anche in considerazione del turbamento e della sofferenza provocati dal verificarsi di conseguenze inaspettate (dal paziente che non è stato informato) conseguenti al trattamento sanitario eseguito (cfr. Cass. 24853/2010).
b) sia delle eventuali conseguenze nefaste dell’intervento, e ciò anche se non siano addebitabili profili di colpa (cfr. Cass. 20984/2012, Cass. 5444/2006, Cass. 9374/1997). Come si è detto, in virtù della natura contrattuale della prestazione sanitaria (a cui appartiene anche l’obbligo di una corretta informazione del paziente), l’onere probatorio di aver adeguatamente informato il paziente spetta ad debitore (medico/struttura sanitaria), incombendo sul creditore (paziente) l’onere di provare il contratto (o contatto), il danno e l’allegazione dell’inadempimento qualificato, che nel caso di specie consiste nella deduzione (che dovrà poi essere accertata in sede di giudizio, al fine di stabilire se l’inadempimento sia giuridicamente rilevante) secondo cui la disinformazione lamentata abbia comportato una scelta terapeutica che, altrimenti, sarebbe stata, con alta probabilità rifiutata o modificata dal paziente stesso (Cass. 20984/2012, Cass. 16394/2010).

a cura dell’ avv. Fedele e dell’ avv. De Sica