Responsabilità medica

La responsabilità medica è argomento complesso, nel quale confluiscono fondamentali istituti giuridici, ed ovvie esigenze di contemperamento degli interessi contrapposti e di equità.
Il percorso giurisprudenziale, lungo e difficile, spesso è solcato da decisioni nelle quali trasuda la sofferenza del giudicante, chiamato a decidere casi umanamente toccanti, alla luce di criteri normativi non sempre adeguati.

La nota sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 577/2008, chiamata a dirimere, con funzione nomofilattica, i conflitti giurisprudenziali sussistenti in materia di inquadramento giuridico della responsabilità medica ha definito la natura contrattuale della responsabilità civile sia della struttura sanitaria (pubblica e/o privata che sia) presso alla quale il paziente si è rivolto per ricevere le prestazioni sanitarie, sia del medico che tali prestazioni abbia concretamente eseguito.
In particolare, secondo il Giudice di legittimità, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria trova fondamento nel cd. contratto di spedalità o contratto di assistenza 2 sanitaria (che si perfeziona a con la semplice accettazione del paziente nella struttura, cfr. Cass. 8826/2007), in virtù del quale la struttura deve fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori.
La giurisprudenza, sulla base di quanto sopra , è giunta a qualificare il rapporto struttura sanitaria – paziente come distinto rispetto al rapporto medico – paziente, definendo il cd. contratto di spedalità come autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive, dal quale derivano obbligazioni di rettamente riferibili all’ente (ex multis, Cass. n. 571 del 2005; Cass. n. 1698 del 2006) con conseguenti peculiari profili di responsabilità , che prescindono dall’accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori, ed al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c.
Ne consegue che può aversi una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato
a) Sia per il fatto della struttura stessa (es. insufficiente o inidonea organizzazione)
b) Sia per il fatto del personale dipendente o ausiliario (responsabilità che va ricondotta sempre all’art. 1228 c.c., per il principio secondo cui secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle proprie dipendenze).
L’orientamento giurisprudenziale dominante qualifica come contrattuale anche l’obbligazione del medico nei confronti del paziente.
Il fondamento giuridico deve essere ravvisato , a seconda dei casi:
a) nell’ipotesi di un rapporto proprio tra medico e paziente, nel contratto specifico intercorso tra i due (es. ambulatorio privato), il quale assumerà, a seconda dei contenuti, la configurazione di un contratto di prestazione d’opera professionale, di un contratto complesso, etc.
b) nell’ipotesi, invece, di un rapporto tra il medico e paziente che trovi la propria occasione nel “ contratto di spedalità ” intercorso tra un paziente ed una struttura sanitaria, in virtù del quale il medico (dipendente o comunque incardinato 3 nell’ente) esegua la prestazione sanitaria, il fondamento della responsabilità del medico nei confronti del paziente viene individuato nel cd. contatto sociale (cfr., senza pretese di completezza Cass. 589/1999, Cass. S.U. 577 /2008).
Nella sentenza n. 8826/2007, la Suprema Corte precisa che il cd. contatto sociale costituisce fonte di un rapporto (contrattuale) avente ad oggetto una prestazione che si modella su quella del contratto d’opera professionale, in base al quale il me dico è tenuto all’esercizio della propria attività nell’ambito dell’ente con il quale il paziente ha stipulato il contratto, ad essa ricollegando obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del detto “contatto”, e in ragione della prestazione medica conseguentemente da eseguirsi.

La responsabilità medica a seguito dell’intervento Balduzzi.

Come è noto il legislatore, con decreto legge n. 158/2012 (come convertito dal la legge 189/2012) ha introdotto all’art. 3, comma 1, una disposizione del seguente tenore: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo comma”.

Non sono mancate, dalla dottrina, immediate critiche alla formulazione sopra detta (definita dai più “infelice” ), la quale dunque lascia oggi agli interpreti (nell’attesa di un quanto mai sperato chiarimento legislativo) il compito di definirne ambito e portata.
In primis occorre subito rilevare che, in ogni caso, la disposizione citata lascia senza dubbio immutata la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, sia per il fatto proprio sia per il fatto del personale dipendente o ausiliario, riguardando esclusivamente la responsabilità del personale sanitario.
Con riguardo a tale ultima ipotesi (la responsabilità del personale sanitario), il riferimento all’art. 2043 c.c. contenuto nell’art. 3, co. 1° della citata l. n. 189/12 ha indotto a dubitare della possibilità di continuare ad applicare in modo generalizzato i criteri di accertamento della responsabilità contrattuale, fino a far ritenere che “ il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato 4 anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione aquiliana ” (Trib. Varese, n. 1406 del 26.11.12).
Sennonchè, il Tribunale di Arezzo, con una recentissima sentenza (sentenza del 14/02/2013) offre una interpretazione della disposizione citata senz’altro più conforme ai principi dell’ordinamento giuridico vigente, negando che ne discenda una configurazione di natura extracontrattuale della responsabili tà del medico.
Il Giudicante, muovendo da analisi letterale del testo normativo, ne individua la ratio, rilevando come il legislatore abbia inteso, con la citata norma, escludere la responsabilità penale del sanitario che sia incorso in colpa lieve pur attenendosi alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Il secondo periodo della disposizione, continua il Giudice di merito, è riferito a tale specifica ipotesi, e chiarisce che l’esclusione della responsabilità penale non fa tuttavia venir meno l’obbligo di risarcire il danno (in ciò sostanziandosi l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.), nella cui quantificazione il giudice dovrà tenere conto dell’avvenuto rispetto delle linee guida e buone pratiche.
Pertanto, poiché la norma deve essere unitariamente interpretata, precisa la sentenza in commento, non può estrapolarsi dal secondo periodo (“ In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile” ) un principio generale ed autonomo riguardante la natura giuridica della responsabilità medica “ che imponga un revirement giurisprudenziale nel senso del ritorno ad un’impostazione aquiliana, con le consequenziali ricadute in punto di riparto degli oneri probatori e di durata del termine di prescrizione ” (come vorrebbe la sentenza del Tribunale di Varese n. 1406 del 26.11.12) .
Infatti, il generico richiamo all’art. 2043 c.c. ( senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria – se non che deve tenersi “debitamente conto” del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche – e senza un richiamo alle altre norme costituenti il sistema della responsabilità extracontrattuale) deve essere inteso unicamente come “ limitato all’individuazione di un obbligo (‘obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile’, che equivale a dire ‘obbligo di risarcimento del danno’) ”, non potendosi affermare “ che richiamare un obbligo equivalga a richiamare un’intera disciplina ” e dovendosi quindi concludere “ che il riferimento all’art. 2043 c.c. (si badi: non alla disciplina dell’illecito extracontrattuale, ma esclusivamente all’obbligo 5 “di cui all’art. 2043 del codice civile”) sia del tutto neutro rispetto alle regole applicabili e consenta di continuare ad utilizzare i criteri propri d ella responsabilità contrattuale ”.
Ad ulteriore sostegno delle proprie argomentazioni, rileva il Giudice di merito che “ se fosse vero che il richiamo all’art. 2043 impone l’adozione di un modello extracontrattuale, si dovrebbe pervenire, a rigore, alla conseguenza – inaccettabile – di doverlo applicare anche alle ipotesi pacificamente contrattuali (quali sono quelle ex art. 2330 e segg.), dal momento che il primo periodo dell’art. 3, 1° co. considera tutte le possibili ipotesi di condotte sanitarie idonee ad integrare reato (che possono verificarsi indifferentemente sia nell’ambito di un rapporto propriamente contrattuale, quale quello fra il paziente e il medico libero professionista, che in un rapporto da contatto sociale) e il secondo periodo richiama tutt e le ipotesi di cui al primo periodo (“in tali casi”), senza operare alcuna distinzione fra ambito contrattuale proprio ed assimilato; non sarebbe dunque consentita la limitazione (affermata per certa da Trib. Varese cit.) del ripristino del modello aquiliano per le sole ipotesi di responsabilità da contatto ”.
E concludendo “ Deve, allora, pervenirsi alla ragionevole conclusione che, conformemente al suo tenore letterale, alla collocazione sistematica e alla ratio certa dell’intervento normativo (da individuarsi nella parziale depenalizzazione dell’illecito sanitario), la norma del secondo periodo non ha inteso operare alcuna scelta circa il regime di accertamento della responsabilità civile, ma ha voluto soltanto far salvo (“resta comunque fermo”) il risarcimento del danno anche in caso di applicazione dell’esimente penale, lasciando l’interprete libero di individuare il modello da seguire in ambito risarcitorio civile. In conclusione : l’art. 3, 1° co. l. n. 189/12 non impone alcun ripensamento dell’attuale inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria (che non sarebbe neppure funzionale ad una politica di abbattimento dei risarcimenti giacché la responsabilità solidale della struttura nel cui ambito operano i sanitari che verrebbero riassoggettati al regime aquiliano conserverebbe comunque natura contrattuale, in virtù del contratto di ‘spedalità’ o ‘assistenza sanitaria’ che viene tacitamente concluso con l’accettazione del paziente), ma si limita (nel primo periodo) a determinare un’esimente in ambito penale (i cui contorni risultano ancora tutti da definire), a fare salvo (nel secondo periodo) l’obbligo risarcitorio e a sottolineare (nel terzo periodo) la rilevanza delle linee guida e delle buone pratiche nel concreto accertamento della responsabilità (con portata sostanzialmente ricognitiva degli attuali orientamenti giurisprudenziali).

a cura dell’ avv. Fedele e dell’ avv. De Sica