Il danno risarcibile

Come è noto, il danno risarcibile si divide nel danno patrimoniale e nel danno patrimoniale.
Circa il danno patrimoniale, l’art. 1223 c.c. dispone che il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore (cd. danno emergente), come il mancato guadagno (cd. lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (cd. principio della causalità giuridica).
Con riguardo al danno emergente, vi rientrano senza dubbio gli esborsi monetari o diminuzioni patrimoniali già intervenuti, ma anche “l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il “vinculum iuris”, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare” (Cass. 22826/2010). Il lucro cessante, invece, riguarda una prospettiva economica futura (reale e concreta), venuta meno a causa dell’inadempimento.
Il cd. danno da perdita capacità lavorativa specifica rientra, per giurisprudenza costante, nel danno patrimoniale, e spetterà al danneggiato dar prova, anche tramite presunzioni, “dello svolgimento di un attività produttiva di reddito e di perdita, dopo l’infortunio, della capacità di guadagno rispetto a tale attività ovvero della capacità, anche generica, di attendere ad altri lavori confacenti alle attitudini del danneggiato” (Cass. 17167/2012; Cass. 10074/2010).
La Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che: “il danno per perdita del reddito deve essere integralmente risarcito come danno emergente (poiché, quando manca il reddito emerge la necessità di ricorrere al risparmio accumulato o all’indebitamento) e lucro cessante (per il mancato guadagno che si protrae per l’intera esistenza), non dovendosi operare una compensazione e quindi, una diminuzione del danno patrimoniale del lavoratore, in considerazione della permanenza della capacità lavorativa generica, la cui riduzione o perdita è inerente al valore dell’uomo come persona e deve essere valutata all’interno della liquidazione del danno biologico.” (Cass. 2589/2002).
Inoltre “Ai fini della valutazione del danno patrimoniale da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica, sono applicabili i criteri indicati dall’art. 2057 c.c., in base ai quali, quando il danno alla persona ha carattere permanente, la liquidazione può essere fatta dal giudice sotto forma di rendita vitalizia, valutando d’ufficio le particolari condizioni della parte danneggiata e la natura del danno” (24451/2005).
Il danno non patrimoniale, si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati di rilevanza economica. Al riguardo il Giudice di Legittimità, ha chiarito e delineato sia il concetto di “danno non patrimoniale”, come categoria unitaria comprendente il danno biologico, il danno morale, il danno esistenziale, il danno da perdita di capacità lavorativa generica, e ne ha stabilito la disciplina risarcitoria.
In sintesi, la Suprema Corte ha sancito quanto segue.
Il danno non patrimoniale, normativamente previsto dall’art. 2059 c.c., deve essere riconosciuto:
1) in tutti i casi in cui sia espressamente previsto dalla legge (ad es. art. 185 c.p.);
2) al di fuori dei casi determinati dalla legge, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili (cfr. Cass. 8827 e 8828 del 2003), e ciò indipendentemente dalla natura contrattuale o extracontrattuale della fonte della
responsabilità civile (Cass. S.U. 26972/2008).
Il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria, nella quale vanno ricompresi il danno biologico, il danno morale, il danno esistenziale, il danno da perdita di capacità lavorativa generica, danno da perdita del rapporto parentale, etc. Infatti, il riferimento a determinati tipi di pregiudizio (biologico, esistenziale, etc.) risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.
Fermo quanto sopra, e cioè l’unitarietà del danno non patrimoniale, la Suprema Corte (Cass. S.U. 26972/2008) precisa che, sono suscettibili di risarcimento di danno non patrimoniale, oltre ai casi sanciti dalla legge, tutti i casi di lesione di un interesse costituzionalmente protetto, tra i quali si annoverano (a titolo esemplificativo):
– il cd. danno biologico (quale lesione del diritto alla salute, art. 32 Cost.), figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito”, e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
Al danno biologico, al quale deve essere riconosciuta una portata sostanzialmente omnicomprensiva, devono essere ricondotti:
() il danno morale, quando integri una degenerazione patologica,
() il danno esistenziale o danno alla vita di relazione, conseguente alla lesione all’ integrità psicofisica
() il cd. danno da perdita della capacità lavorativa generica (Cass. S.U. 2008/26973)
– il cd. danno morale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto in sè considerato. Ma laddove tale sofferenza abbia prodotto delle degenerazioni patologiche, si rientrerà nel cd. danno biologico.
– il cd. danno da perdita del rapporto parentale, quale lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.);
Quanto ai criteri di quantificazione del danno biologico, la Cassazione con sentenza n. 12408/2011, facendo espresso richiamo alla propria funzione nomofilattica, ha sancito i seguenti principi:
a) Nell’ipotesi di lesioni di lieve entità (postumi permanenti non superiori al 9%) derivanti da circolazione dei veicoli a motore e natanti (sinistri stradali), la liquidazione del danno biologico dovrà avvenire secondo i criteri di cui all’art. 139 Cod. Assic. (ossia utilizzando le tabelle di cui al decreto ministeriale).
b) Negli altri casi, si tratti di lesioni di lieve o grave entità, i criteri da adottarsi per la liquidazione del danno all’integrità psico-fisica dovranno essere quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano (cd. Tabelle del Tribunale di Milano), i quali “costituiranno d’ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l’entità”.
In ogni caso, nella liquidazione del danno, il Giudice, nell’avvalersi delle sopra dette tabelle, dovrà “procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (Cass. S.U. 26972/2008)
La Suprema Corte (sent. 12408/2011 citata) giunge a tali conclusioni interpretando il concetto di equità (presente in numerose norme del codice civile, e non solo), il quale racchiude in sè due caratteristiche, che rispondono alla necessità di contemperare due diverse esigenze:
1) La prima è l’essere essa uno strumento di adattamento della legge al caso concreto.
2) La seconda è di garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, o viceversa: sotto questo profilo l’equità vale ad eliminare le disparità di trattamento e le ingiustizie. Alla nozione di equità è quindi consustanziale non solo l’idea di adeguatezza, ma anche quella di proporzione.
Equità, in definitiva, non vuoi dire soltanto “regola del caso concreto”, ma anche “parità di trattamento”, e così intesa essa costituisce strumento di eguaglianza, attuativo del precetto di cui all’art. 3 Cost., perchè consente di trattare i casi dissimili in modo dissimile, ed i casi analoghi in modo analogo, in quanto tutti ricadenti sotto la disciplina della medesima norma o dello stesso principio.
Con riferimento alla liquidazione del danno biologico nella motivazione della sentenza 14 luglio 1986, n. 184, la Corte Costituzionale chiarì che nella liquidazione del danno alla salute il giudice deve combinare due elementi: da un lato una “uniformità pecuniaria di base”, la quale assicuri che lo stesso tipo di lesione non sia valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto; dall’altro elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione all’effettiva incidenza della menomazione sulle attività della vita quotidiana.
Il criterio della compresenza di uniformità e flessibilità è stato condiviso da questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato che nella liquidazione del danno biologico il giudice del merito deve innanzitutto individuare un parametro uniforme per tutti, e poi adattare quantitativamente o qualitativamente tale parametro alle circostanze del caso concreto.
Il conseguimento di una ragionevole equità nella liquidazione del danno deve perciò ubbidire a due principi che, essendo tendenzialmente contrapposti (la fissazione di criteri generali e la loro adattabilità al caso concreto), non possono essere applicati in modo “puro”. Il contemperamento delle due esigenze di cui si è detto richiede sistemi di liquidazione che associno all’uniformità pecuniaria di base del risarcimento ampi poteri equitativi del giudice, eventualmente entro limiti minimi e massimi, necessari al fine di adattare la misura del risarcimento alle circostanze del caso concreto.
Pertanto, il Giudice di Legittimità, richiamando il proprio ruolo nomofilattico, ritenendo necessario individuare criteri uniformi per la liquidazione del danno biologico (fermo il principio di adattamento al caso concreto), ha individuato nelle Tabelle di Milano i parametri da applicarsi a livello nazionale, dato anche il loro già diffuso utilizzo nei Tribunali del Paese.

a cura dell’ avv. Fedele e dell’ avv. De Sica